Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Borsa, la crisi brucia 2,4 miliardi Ma Carel e De Longhi su del 50%
Covid e lockdown, semestre nero per le quotate venete. Con brillanti eccezioni
Due aziende le cui quotazioni sono cresciute di oltre il 50% e che mettono nelle tasche degli azionisti nuovo valore per più di 2 miliardi. E tutte le altre che, invece, ne bruciano nel complesso più di 2,4 (escludendo dal conto quanto perso da un’azienda planetaria Essilux, il cui valore perduto, quasi 12 miliardi, è del tutto fuori scala rispetto al resto). Gli ultimi sei mesi per le società venete quotate in Borsa nella stagione del Covid-19 per sommi capi sono stati questi, e raramente, in passato, sono spiccate le profonde differenze indotte dal tipo di settore nel quale le diverse realtà sono impegnate.
A volare letteralmente sul mercato, da febbraio a oggi, sono infatti state Carel e De’ Longhi, la prima specializzata nei sistemi di controllo per impianti di climatizzazione e refrigerazione (come le sale server sempre più irrinunciabili per i collegamenti telematici), la seconda in macchine da caffè e piccoli elettrodomestici, oggetti cresciuti in modo esponenziale nel lungo eremitaggio domestico del lockdown più rigido. Il titolo Carel, nel semestre che va dal 18 febbraio al 17 agosto, ha guadagnato più del 52% il che, tradotto in capitalizzazione, significa 635 milioni in più. Simile l’accelerazione di De’ Longhi che così acquisisce una maggiore capitalizzazione per circa 1.430 milioni.
«Rispetto al valore massimo di prima del calo generalizzato di marzo sui timori della pandemia – rileva Fabio Buttignon, docente di Finanza aziendale all’università di Padova – la società di Treviso ha recuperato più del 100%, mentre il fatturato è cresciuto del 7%. Si tratta di una dinamica legata al ‘living at home’ al quale, volenti o nolenti, la popolazione del pianeta si è dovuta adattare cercando di circondarsi di strumenti di comfort». Anche per De’ Longhi, perciò, come per Carel, i risultati 2020 sono attesi almeno in linea con quelli 2019. C’è una terza sigla, sulle 26 venete complessivamente presenti sui listini di Borsa, che registra una crescita nel periodo, pari a circa il 10%, ed è la vicentina Sicit. A trainare qui è la destinazione dei suoi prodotti, biostimolanti e ritardanti derivati da residui della concia, al comparto agricolo, tra i pochi ambiti mai limitati dalla diffusione del contagio. Il guadagno per Sicit è di poco meno di 20 milioni.
Uno sguardo a tutte le altre fa balzare subito all’occhio che le flessioni del titolo sono tutte in doppia cifra, tranne che in un caso e, anche qui, per ragioni facilmente intuibili. L’insegna che ha perso «solo» il 6,8% è Zignago Vetro, società fortemente impegnata nei contenitori per l’industria alimentare e delle bevande. Il segmento dei recipienti per profumeria e cosmesi ha conosciuto invece la regressione di tutti i beni voluttuari.
Passando al polo opposto spiccano le forti sofferenze del blocco abbigliamento e moda, da Moncler a Geox passando per Ovs. Il primo marchio accusa una contrazione di poco più del 14% ma che si ripercuote sulla capitalizzazione per 1,39 miliardi. «Siamo in presenza di una realtà che fattura il 30% in meno – sottolinea Buttignon – e che ad oggi ha dimostrato di aver recuperato abbastanza bene rispetto ai minimi toccati. Parliamo di un’azienda molto solida finanziariamente e che sta riprendendo quota in Cina, fatti salvi i rischi di un rinvigorimento del virus». Il titolo Ovs è invece ancora penalizzato, nonostante gli accenni di risalita, e l’attenzione sull’insegna pare concentrata sugli esiti della vasta rinegoziazione degli affitti degli immobili in cui hanno sede i punti vendita. Da febbraio ad oggi il gruppo lascia sul campo il 49% e più di 200 milioni. Profonda anche la discesa di Geox, -40% in sei mesi, per una perdita in valore di 117 milioni, Il fiato grosso della «scarpa che respira», comunque, ricorda il docente, è legato ad «un modello di business da rivedere già da momenti precedenti e che il Covid ha accentuato. Geox è in fase di trasformazione, deve ritrovare un’identità, compiere scelte nuove sulle politiche di retail e sui prodotti».
Un altro effetto della mancata frequentazione dei luoghi di aggregazione imposto dalla pandemia è infine quello individuato nella flessione di oltre 33 punti del titolo Massimo Zanetti Beverage Group (Segafredo). La chiusura delle caffetterie della rete intercontinentale costa all’imprenditore trevigiano qualcosa come 65 milioni e mezzo e il recupero della quotazione sul valore minimo è oggi ancora piuttosto modesto.
Buttignon
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