Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
PROGETTARE L’ECONOMIA POST COVID
Si sente ripetere che «nulla sarà più come prima»: il «prima» coincidente con l’era a.c. (avanti Covid) che si è universalmente chiusa l’11 marzo 2020 con la qualifica di pandemia attribuita dall’oms all’infezione da Covid 19. Un mantra, da pessimismo cosmico, sulle conseguenze economiche e sociali del Covid al quale si contrappone un altro mantra, da ottimismo fideistico, «ce la faremo, ricostruiremo la nostra economia e torneremo a crescere con i finanziamenti del fondo NGEU e il recovery plan europeo». Entrambi da correggere: contenendo il pessimismo nel primo caso e condizionando l’ottimismo nel secondo. Perché il «prima» che qualcuno vorrebbe veder ripristinato era quello di un Paese a bassa crescita, a produttività imbrigliata dal mancato adeguamento delle sue istituzioni e delle sue infrastrutture fisiche e sociali. Il «nulla sarà più come prima» potrebbe non essere dunque terribile se la ricostruzione, necessaria dopo le devastazioni da lockdown, ci darà una Italia tornata, dopo decenni, a crescere a ritmi che le restituiscono la competitività perduta perché capace di cogliere i vantaggi delle transizioni digitali e ambientali che stanno comunque cambiando il mondo, Covid o non Covid.
Un obiettivo che il Next Generation EU fund rende possibile, raggiungibile, ma solo a condizione che i finanziamenti europei non vengano sprecati per rifare l’italia «come prima». Proporsi di ricostruire un’economia diversa da quella dell’era avanti Covid e finalizzare tutte le risorse disponibili - nazionali ed europee - a questo scopo sono due obiettivi di politica - non solo economica - che non hanno alternative, ma che, facendo tremare le vene ai polsi per la rivoluzione che impongono, esigono una capacità della classe dirigente, non solo politica, di dotarsi di una consapevolezza e di una determinazione, che non paiono ancora all’opera. Quanto a consapevolezza, c’è una domanda chiave dalla cui risposta occorrerebbe partire: quale struttura dei consumi ci troveremo a soddisfare quando il Covid, speriamolo, sarà sparito o comunque domato? A quale miscela di consumi reali e virtuali da soddisfare ci avranno abituato il telelavoro, la teleeducazione, scolastica ed universitaria, il telecommercio, la telemedicina, il telesvago? Con quali conseguenze sulla organizzazione dei trasporti locali (casa-lavoro, casa-scuola, in primis) o di quelli internazionali (meetings e conferenze organizzate a distanza; regionalizzazione delle catene logistiche globali, etc) e, a cascata, sulle disuguaglianze sociali e sull’organizzazione territoriale della produzione e della residenza, sulla forma e le funzioni soprattutto delle città più grandi? Domande le cui risposte dovrebbero guidare nella selezione feroce dei progetti da cofinanziare col Next Generation fund. E se, come è evidente in tutto il mondo, le modifiche strutturali post-covid agiranno soprattutto sulle grandi città –e tra le stesse, in quanto nodi, con porti e valichi, della rete che costituisce la spina dorsale dell’economia italiana è da queste, dalle 12 città metropolitane, dai confini funzionalmente ridefiniti, che si dovrebbe partire, per rimettere in azione, da Milano in giù lungo la gerarchia insediativa nazionale, i motori della nuova economia verde e digitale. Gerarchia insediativa preziosa, compatibile con una priorità Mezzogiorno, ma da potenziare nell’interesse dell’intero Paese. Temo che questo obiettivo, questa priorità, non sia presente nei ministeri ai quali, a quanto pare, è stato affidato il compito di proporre i progetti da sottoporre all’unione Europea entro ottobre. Regioni e Città metropolitane dovrebbero farsi parte attiva al riguardo. Anche il Veneto e la Città metropolitana di Venezia, da rileggere al più presto in termini centro veneti con Padova e Treviso, che potrebbero diventare protagoniste di progetti «game changer» per l’italia e l’europa. Purtroppo in questo momento Regione del Veneto e Comune di Venezia sono «distratti» dalla competizione elettorale del prossimo 20 settembre che, a leggere i programmi, difficilmente metterà a confronto idee e progetti da era post Covid. Ma la speranza è l’ultima a morire.