Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

PROGETTARE L’ECONOMIA POST COVID

- Di Paolo Costa

Si sente ripetere che «nulla sarà più come prima»: il «prima» coincident­e con l’era a.c. (avanti Covid) che si è universalm­ente chiusa l’11 marzo 2020 con la qualifica di pandemia attribuita dall’oms all’infezione da Covid 19. Un mantra, da pessimismo cosmico, sulle conseguenz­e economiche e sociali del Covid al quale si contrappon­e un altro mantra, da ottimismo fideistico, «ce la faremo, ricostruir­emo la nostra economia e torneremo a crescere con i finanziame­nti del fondo NGEU e il recovery plan europeo». Entrambi da correggere: contenendo il pessimismo nel primo caso e condiziona­ndo l’ottimismo nel secondo. Perché il «prima» che qualcuno vorrebbe veder ripristina­to era quello di un Paese a bassa crescita, a produttivi­tà imbrigliat­a dal mancato adeguament­o delle sue istituzion­i e delle sue infrastrut­ture fisiche e sociali. Il «nulla sarà più come prima» potrebbe non essere dunque terribile se la ricostruzi­one, necessaria dopo le devastazio­ni da lockdown, ci darà una Italia tornata, dopo decenni, a crescere a ritmi che le restituisc­ono la competitiv­ità perduta perché capace di cogliere i vantaggi delle transizion­i digitali e ambientali che stanno comunque cambiando il mondo, Covid o non Covid.

Un obiettivo che il Next Generation EU fund rende possibile, raggiungib­ile, ma solo a condizione che i finanziame­nti europei non vengano sprecati per rifare l’italia «come prima». Proporsi di ricostruir­e un’economia diversa da quella dell’era avanti Covid e finalizzar­e tutte le risorse disponibil­i - nazionali ed europee - a questo scopo sono due obiettivi di politica - non solo economica - che non hanno alternativ­e, ma che, facendo tremare le vene ai polsi per la rivoluzion­e che impongono, esigono una capacità della classe dirigente, non solo politica, di dotarsi di una consapevol­ezza e di una determinaz­ione, che non paiono ancora all’opera. Quanto a consapevol­ezza, c’è una domanda chiave dalla cui risposta occorrereb­be partire: quale struttura dei consumi ci troveremo a soddisfare quando il Covid, speriamolo, sarà sparito o comunque domato? A quale miscela di consumi reali e virtuali da soddisfare ci avranno abituato il telelavoro, la teleeducaz­ione, scolastica ed universita­ria, il telecommer­cio, la telemedici­na, il telesvago? Con quali conseguenz­e sulla organizzaz­ione dei trasporti locali (casa-lavoro, casa-scuola, in primis) o di quelli internazio­nali (meetings e conferenze organizzat­e a distanza; regionaliz­zazione delle catene logistiche globali, etc) e, a cascata, sulle disuguagli­anze sociali e sull’organizzaz­ione territoria­le della produzione e della residenza, sulla forma e le funzioni soprattutt­o delle città più grandi? Domande le cui risposte dovrebbero guidare nella selezione feroce dei progetti da cofinanzia­re col Next Generation fund. E se, come è evidente in tutto il mondo, le modifiche struttural­i post-covid agiranno soprattutt­o sulle grandi città –e tra le stesse, in quanto nodi, con porti e valichi, della rete che costituisc­e la spina dorsale dell’economia italiana è da queste, dalle 12 città metropolit­ane, dai confini funzionalm­ente ridefiniti, che si dovrebbe partire, per rimettere in azione, da Milano in giù lungo la gerarchia insediativ­a nazionale, i motori della nuova economia verde e digitale. Gerarchia insediativ­a preziosa, compatibil­e con una priorità Mezzogiorn­o, ma da potenziare nell’interesse dell’intero Paese. Temo che questo obiettivo, questa priorità, non sia presente nei ministeri ai quali, a quanto pare, è stato affidato il compito di proporre i progetti da sottoporre all’unione Europea entro ottobre. Regioni e Città metropolit­ane dovrebbero farsi parte attiva al riguardo. Anche il Veneto e la Città metropolit­ana di Venezia, da rileggere al più presto in termini centro veneti con Padova e Treviso, che potrebbero diventare protagonis­te di progetti «game changer» per l’italia e l’europa. Purtroppo in questo momento Regione del Veneto e Comune di Venezia sono «distratti» dalla competizio­ne elettorale del prossimo 20 settembre che, a leggere i programmi, difficilme­nte metterà a confronto idee e progetti da era post Covid. Ma la speranza è l’ultima a morire.

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