Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Settembre, la ripresa con l’incognita Cig e lavoro
Settembre porta un cauto ottimismo. Colamarco: «Essenziale sostenere l’edilizia»
L’economia veneta si attende una ripresa con la riapertura delle attività dopo la pausa estiva, sia pure con una consistente incognita legata la lavoro e all’utilizzo della Cassa integrazione. Secondo molti osservatori, il conto arriverà in realtà a fine anno, quando finirà il blocco dei licenziamenti: 200 mila veneti potrebbero perdere il posto di lavoro.
Ripresa di settembre, mai come quest’anno la data convenzionale di riapertura delle attività produttive ha perso il suo tradizionale significato. Troppo presto per avere riscontri statistici sulla situazione economica della regione, troppo capricciose le fluttuazioni dei focolai di contagio per azzardare previsioni: la percezione media fra gli osservatori è che fino a oggi il quadro generale sia meno buio rispetto ai pronostici della primavera e, in Veneto, forse pure meno pesante che altrove. Ma si vive alla giornata.
Basta un lockdown in uno qualsiasi dei principali Paesi di destinazione delle nostre esportazioni e molti settori tornerebbero a gelare. Sorvegliati speciali, come è facile immaginare, sono gli Usa e la Germania, architravi per il business della nostra manifattura e in particolare per la rete della componentistica per l’automotive. Per il momento, ciò che si può constatare è che la grande maggioranza delle imprese ha accordato ai propri dipendenti il tradizionale periodo di ferie agostane di due o tre settimane e che chi le ha ridotte o articolate diversamente, lo ha fatto solo per recuperare le produzioni non eseguite nelle settimane di chiusura di marzo e aprile.
Da domani si vedrà in che misura le aziende continueranno a mantenere più o meno inerti le linee (o i negozi o gli uffici) virando sulla Cassa integrazione collegata al Covid-19. L’inps del Veneto, seconda regione in Italia dopo la Lombardia, ha autorizzato finora 56,6 milioni di ore sui 450 milioni in Italia, e da noi il «tiraggio», cioè quelle effettivamente usate dalle imprese, è stato intorno al 40%. «La parola chiave credo sia volatilità – interviene Fabio Buttignon, docente di Finanza aziendale all’università di Padova – e comunque penso che, in assenza di riaccensioni della pandemia, una ripresa ci sarà senz’altro. Con quali tempi non si può dire ed è inevitabile che le aziende procedano, come stanno facendo da alcuni mesi, a profonde ristrutturazioni alla ricerca di efficienza. Dunque, è sottinteso che questo avrà riflessi sull’occupazione». In quale misura? Quanti dei posti di lavoro oggi coperti dagli ammortizzatori sociali, al termine dello stop ai licenziamento di fine dicembre passeranno alla voce esuberi? «Numeri importanti – si sbilancia Buttignon – in termini percentuali sicuramente superiori alla doppia cifra».
Una proiezione in valori assoluti era stata avanzata alcuni giorni fa dal direttore di Veneto Lavoro, Tiziano Barone. Nell’ultimo trimestre del 2020 il Veneto si potrebbe trovare a dover gestire 200 mila disoccupati, cioè almeno 50 mila in più dello stock dei senza lavoro che si conta mediamente ogni anno. Un dato non ingestibile, a detta di molti, purché cambi in modo deciso l’approccio alla materia. Basta con il solo vecchio impianto del supporto al reddito con la Cassa o altri strumenti di solidarietà, cioè, ma piuttosto formazione e riqualificazione, per poter reimmettere le maestranze in esubero nei nuovi circuiti del lavoro.
Gerardo Colamarco, segretario generale della Uil del Veneto, fa propria una suggestione espressa in questi giorni dal suo leader nazionale, Pierpaolo Bombardieri: «Occorrerà prima o poi iniziare a discutere di riduzione dell’orario di lavoro per generare spazi ai giovani. Su un piano più immediato, ritengo sia centrale il ruolo della Regione per il supporto al compartochiave dell’edilizia. Senza consumo di nuovo suolo, beninteso, ma per incentivare il recupero del patrimonio abitativo privato».
Fra i segnali che supportano un cauto ottimismo, tuttavia, ci sono quelli del ricorso delle imprese ai prestiti garantiti del decreto Cura Italia. Alla data del 20 agosto, al Fondo di Garanzia sono giunte dal Veneto quasi 88 mila richieste, per importi superiori agli 8 miliardi. Trattandosi in ogni caso di denaro da restituire, l’adesione rispecchia una volontà di reazione delle imprese attraverso investimenti su nuovi progetti.
Buttignon È inevitabile che le aziende continuino a procedere con profonde ristrutturazioni alla ricerca di efficienza: questo, è inevitabile, avrà dei riflessi sull’occupazione