Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

’Ndrangheta, il pm chiede 150 anni di pene

Padova, 35 hanno scelto il rito abbreviato. Indagini partite da un trevigiano picchiato

- Roberta Polese

‘Ndrangheta, il pm padovano Paola Tonini ha chiesto pene severe per il nutrito gruppo di indagati finito nell’inchiesta «Camaleonte» coordinata dalla Dda. La richiesta totale è di 150 anni e confische milionarie.

Oltre 150 anni di pena per 35 imputati che hanno scelto di farsi giudicare con rito abbreviato, una richiesta di confisca beni che supera i 16 milioni di euro, 5 per reati tributari e 11 per il riciclaggi­o. Così la giustizia presenta il conto alla ‘ndrangheta. Ieri il pm padovano Paola Tonini ha chiesto pene severe per il nutrito gruppo di indagati finito nell’inchiesta «Camaleonte», coordinata dalla Dda di Venezia. La sentenza è attesa per il 19 ottobre. Un’altra fetta di imputati ha deciso di difendersi andando a processo, sono oltre 50 le persone coinvolte.

Al vertice dell’associazio­ne ci sono Michele e Sergio Bolognino e Antonio Mangone, boss di ‘ndrangheta già in cella per il maxi processo Aemilia. Sergio e Mangone sono a dibattimen­to, per Michele sono stati chiesti 13 anni e 4 mesi, 12 anni invece sono le richieste per il commercial­ista Agostino Clausi, che metteva nero su bianco gli affari dei boss. Ma in questo processo l’accusa di associazio­ne a delinquere di stampo mafioso viene rivolta anche a imprendito­ri padovani e veneziani che non hanno avuto il coraggio di sottrarsi alle pressioni. Come Adriano Biasion di Piove di Sacco, che da vittima diventa carnefice e presenta a Sergio e Michele decine di colleghi che finiscono nella rete delle minacce: per lui il pm ha chiesto 3 anni e una confisca di beni per oltre 5 milioni. Amico di Biasion è il padovano Leonardo Lovo, che dopo gli arresti collabora: per lui Tonini ha chiesto due anni e 5 milioni di confische. Due anni chiesti pure per il padovano Federico Schiavon, Ilir e Shala Sadik, impresari kosovari emigrati a Padova e Loris Zaniolo di Curtarolo, tutti nel giro delle fatture false.

All’origine dell’indagine c’è imprendito­re trevigiano Stefano Venturin, non accetta compromess­i e rifiuta i 500mila euro in contanti che i Bolognino gli offrono per entrare nella sua società, la «Gs scaffalatu­re» di Galliera Veneta. Lo picchiano a sangue il giorno di Pasquetta del 2013, lui va dai carabinier­i. La cupola comincia a presentare le prime crepe. I giornali raccontano l’aggression­e, parlano di calabresi, i nomi sono già nell’indagine della Dda di Bologna. Nella sua requisitor­ia il pm ha fatto uso di ampi stralci di dichiarazi­oni di pentiti che hanno consentito di inquadrare il fenomeno, ne emerge un quadro in cui Sergio Bolognino fa di tutto per guadagnars­i la stima del fratello Michele. Lo dice il pentito Antonio Valerio, ex ‘ndrangheti­sta nell’inchiesta Aemilia: «Michele ha la ‘Santa’ come grado di ‘ndrangheta, (significa che è inserito nella gerarchia di quelli che hanno giurato ndr), mentre i fratelli brillano di luce riflessa. In Veneto per noi c’è Francesco «Provolone» Frontera (arrepo stato nel 2017, ndr), capo locale responsabi­le a Verona. A fianco a lui Cappa Salvatore, Raffaele Oppido, poi ci sono i Multari a Vicenza (...) i Bolognino sono autonomi». Secondo Valerio, Frontera è il cae vigila che gli altri non si pestino i piedi. Il punto di riferiment­o è la cosca Grande Aracri a Cutro. Ma altrettant­o centrali sono i ruoli di Biasion e Lovo e di un calabrese, Antonio Genesio Mangone, di cui si discute in questi giorni nel processo a dibattimen­to a Padova. Emblematic­a la manovra «a tenaglia» dei Bolognino e Mangone: i primi mettono in ginocchio gli impresari con le estorsioni, il secondo si presenta come «pacificato­re» e sferra il colpo finale.

L’obiettivo dei calabresi è trovare nuove prede, nuovi imprendito­ri che ne cerchino altri e altri ancora. Biasion e Lovo finiscono nelle maglie e diventano a loro volta reclutator­i. Gli altri 25 imputati sono una schiera di calabresi residenti tra l’emilia e lo Ionio, pronta ad accogliere e a «lavorare» le fatture false dei veneti che permettono loro di ripulire il denaro sporco.

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Le indagini Sono state condotte dalla Direzione investigat­iva antimafia di Padova
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Imputati I fratelli Sergio e Michele Bolognino, accusati di essere al vertice dell’organizzaz­ione criminale

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