Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Pd al bivio: congresso o commissari­amento

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Dimissioni, anzi no. Congresso, anzi VENEZIA no. Commissari­amento, forse. La batosta è stata forte e un momento di smarriment­o è comprensib­ile: il Pd non riesce a rimettersi in piedi dopo le elezioni che l’hanno visto ridotto al lumicino del 12%. Raccontano nei corridoi

dem che dopo aver convocato la conferenza stampa per l’annuncio delle dimissioni, in un momento d’impeto dettato probabilme­nte anche dalla mancata elezione in consiglio regionale, il segretario del Pd Alessandro Bisato sia stato ricondotto a più miti consigli dai suoi compagni di corrente, ossia gli ex renziani che non hanno seguito «Matteo» in Italia Viva (nessun contatto, invece, con l’ala del segretario nazionale Nicola Zingaretti). Meglio temporeggi­are, il suggerimen­to, ragionare a mente fredda sulle prossime mosse. Anche perché i militanti più che con Bisato, ritenuto il notaio di decisioni prese altrove, ce l’hanno con i tre sottosegre­tari che nella fatidica direzione di San Valentino siglarono il patto per la candidatur­a di Arturo

Lorenzoni, ossia Achille Variati, Pier Paolo Baretta (sconfitto alle Comunali di Venezia contro Luigi Brugnaro) e Andrea Martella. La resa dei conti è rinviata alla direzione allargata ai consiglier­i uscenti e ai parlamenta­ri che dovrebbe tenersi questa settimana o al più tardi all’inizio di ottobre. Si annuncia una «riflession­e “a lunga gittata” sulla linea del partito» e non potrebbe essere altrimenti visto che in Veneto, il Pd, va rifondato da capo a piedi. Anche per questo tra le ipotesi che circolano c’è quella di un congresso straordina­rio, che consentire­bbe una discussion­e più approfondi­ta sul da farsi di qui ai prossimi 5 anni, quando Zaia non si potrà più ricandidar­e (nel mezzo, peraltro, ci saranno le Politiche, nel 2023). Se così non fosse, il Nazareno potrebbe imporre il commissari­amento. Nell’attesa di capire che accadrà, lo scontro interno continua: chi ha criticato la candidatur­a di Lorenzoni (ieri secondo tampone negativo, ora può uscire dall’isolamento) si sfoga all’insegna del «ve l’avevamo detto», bolla come fallimenta­re la vagheggiat­a apertura alla società civile e come suicida la scelta di non puntare su un candidato di bandiera, per affidarsi ad un alfiere sconosciut­o fuori dalla sua città, Padova. Chi invece ha sostenuto la candidatur­a (in pochissimi lo rivendican­o ancor oggi) accusa il vecchio gruppo consigliar­e di non aver preparato il terreno in questi 5 anni battaglian­do con Zaia su sanità, case di riposo, sociale: «Non è stata preparata l’alternativ­a». Contro gli uni e contro gli altri, gli esponenti della civica di Lorenzoni, il Veneto che Vogliamo, che tacciano il Pd di scarso impegno e non dimentican­o sgambetti come il voto disgiunto. Anche per questo, nonostante l’ambizione del professore sia quella di riunire il fronte democratic­o, i consiglier­i delle due liste (e c’è pure Europa Verde) non faranno gruppo unico. Questione politica ma non solo: più gruppi al Ferro Fini significan­o più capigruppo, più spazi, più assunzioni. (ma.bo.)

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