Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Degada Saf, il ritorno con «Foresto»
Il musicista trevigiano Crocetta presenta il nuovo album, «Foresto» «No alla massificazione imperante»
All’interno del libretto del cd si legge «Every beginning is a continuation», ogni inizio è una continuazione. È questo lo spirito con cui Fausto Crocetta, ovvero Faust dei Degada Saf, ha dato alle stampe il nuovo album Foresto (Casal Gajardo Records). Un album che segna un nuovo percorso per l’artista trevigiano, ma che allo stesso tempo si collega alla lunga storia di un gruppo come i Degada Saf, seminale e cult per la scena New Wave italiana degli anni Ottanta. Un disco che si declina tra musica elettronica colta e di ricerca, evitando però di risultare ermetico e incomprensibile. Come mai «Foresto»?
«In dialetto significa straniero, che è come mi sento rispetto al contesto musicale in cui opero. È poi un concetto che supera anche questa solitudine artistica e fa riferimento al fatto che rifiuto tutte le etichette date alla mia musica. Non voglio essere classificato all’interno di un genere, tanto che firmo il progetto come “Noghettomusic”: è necessario staccarsi dall’idea che bisogna essere rinchiusi in gabbie e prendere il buono che può arrivare da ogni parte. Preferisco sentirmi libero… ma foresto».
L’album è pubblicato dalla Casal Gajardo Records, etichetta bassanese appena ripristinata da Carlo Casale, ex Frigidaire Tango. È un modo per sottolineare il legame con la propria storia?
«Carlo ha voluto riapre questa etichetta e sono contento che mi abbia chiesto di pubblicare con lui. Avevamo già fatto qualcosa assieme negli anni passati, una cover di un brano dei Frigidaire Tango. Dopo siamo rimasti in contatto».
«Foresto» ha qualcosa a che fare con la nostalgia degli anni Ottanta?
«Assolutamente no. Le mie sono cose nuovissime e anche Casale ha realizzato produzio
ni che non hanno nulla a che fare con la nostalgia degli anni Ottanta. Siamo tutti sull’onda della sperimentazione, magari prendendo spunto dalle cose belle di oggi».
Chi erano i suoi maestri d’allora e chi segue oggi?
«Molta ispirazione l’ho avuta per i Talking Heads e per Brian Eno; ma anche il Miles Davis sperimentale era un punto di riferimento. Oggi trovo davvero interessante Apparat e Nicolas Jaar».
Qual è il pubblico di questo suo nuovo disco?
«Poco italiano e più internazionale. Queste produzioni sono più apprezzate nel Nord Europa: in Germania, Olanda e Gran Bretagna. In Italia c’è un pubblico più conservatore e poi mancano spazi dove si possano presentare proposte musicali simili».
Ma che fine ha fatto la scena elettronica veneta degli anni Ottanta?
«Oggi quella scena si è persa. Non c’è proprio nulla. I giovani guardano al passato e nessuno punta al futuro e alla sperimentazione. Un tempo era più semplice incontrarsi nei locali, lì ci si conosceva e si iniziava a scoprire cose nuove. L’interesse nell’elettronica mischiata al rock era agli albori e attraeva i ragazzi nel profondo. Oggi invece c’è una massificazione totale e imperante: il nuovo, la sperimentazione, non esiste».