Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Sulle mie spalle» negli scatti di Claudio Mainardi
Una mostra alla basilica del Santo dedicata alle immagini di scena del film di Belluco, da poco uscito nelle sale
«Spostati! Spostati!». Un mantra continuo, tra macchine da presa, cavi per terra, riflettori e persone fuori dalla luce. Dura la vita del fotografo di scena: essì che Claudio Mainardi è uno che sa come muoversi, come non intralciare. Ma un film è un film, la fibrillazione del «si gira» si sovrappone a tutto, un fotografo deve esserci e contemporaneamente sparire. Per fortuna Mainardi e la sua Fuji («Ho dovuto metterla silenziosa, il fonico mi ha sgridato perché l’audio registrava il clic») c’era e ci offre ora in una mostra una sessantina di scatti che sono il di più del film. La pellicola, in arrivo nei cinema, è Sulle mie spalle – On my shoulders, la firma il regista padovano Antonello Belluco e racconta la vita di padre Leopoldo Mandic, il frate cappuccino dalla statura fisica minima e dalla statura morale difficilmente misurabile. L’hanno fatto beato, e generazioni di padovani ricordano le sue parole di vita che uscivano quiete dal confessionale, nella sua chiesa a Santa Croce. La mostra è aperta fino all’8 ottobre allo Studio Teologico nella basilica del Santo, ingresso libero. Le fotografie sono in bianco e nero - vero amore di Mainardi - , c’è un catalogo ben fatto con una copertina marron: forse per ricordare il la tonaca del frate.
Le immagini delle scene del film non sono il film: vivono di vita propria, soprattutto fermano quel che sullo schermo scorre, consentono una leggibilità, una fruizione, una considerazione estetica che il fluire della pellicola non permette. Si assaporano, e se il film racconta una storia in due ore, la fotografia racconta un momento, ma lascia liberi di immaginare la storia che c’è dietro. Mainardi e Belluco si conoscono da decenni, hanno anche lavorato insieme illo tempore, non c’è stato bisogno di dire niente: «Vieni tu», e mano libera sia per il set che per il backstage. Il regista probabilmente è l’unico che non gli ha mai detto «Spostati». Ne è venuto fuori il Mainardi più vero, quello che cerca le persone, i volti, l’umanità; che si adatta alla luce come ad un’amante a cui bisogna dire di sì; Mainardi che inventa angoli di ripresa diversi, che scava una sua lettura personale, che ci dà infine un’essenza più intima del film, un film invisibile sul grande schermo, perle che restano invece che gocce che scorrono. Scrive la curatrice della mostra Luisa Bondoni che Mainardi è stato «libero di re-interpretare l’impianto visivo di un set creando un contenuto artistico del tutto indipendente». Scrive anche che «il suo bianco e nero evoca alcune pellicole neorealiste italiane» ed è esattamente la sensazione «indipendente», diversa dal film che mostra e catalogo danno. Realismo attuale, diremmo noi, immerso nella ricostruzione d’epoca che aggiunge fascino anche quando svapora nei primi piani ravvicinati, negli sguardi che oltrepassano il tempo. La presidente della veneranda Arca del Santo, che ha patrocinato la mostra, Giovanna Baldissin Molli, parla di «meta-fotografia», che è un concetto difficile, soprattutto se deve fare i conti con il realismo, ma che in qualche modo recepisce l’aura di santità quindi di rarefazione, di sovra-umanità – che molti respiravano attorno a padre Leopoldo. Le immagini, pur venate di percettibili tocchi di poesia, sono solidissime: non accennano, raccontano; ogni foto rende protagonista il soggetto, persona o scena che sia: così la percezione è diretta, inevitabile. Sono fotografie a cui non si sfugge.
L’artista padovano documenta il backstage di «Sulle mie spalle» in un suggestivo bianco e nero. La figura del frate cappuccino viene sorpresa nella sua umanità