Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’ULTIMO SALUTO
“Era intubato, sofferente e solo, come un Cristo in croce», ricorda a proposito del padre (il cardiologo padovano Sergio Dalla Volta) la figlia Maurizia, riuscita a salutarlo, in ospedale, dopo un infarto. Ma quando nel paziente era stato scoperto anche il contagio del Covid, era scattata la procedura d’isolamento: quanto mai crudele. Durante la prima ondata della pandemia il regolamento vietava infatti ai parenti del malato di dare al morente l’ultimo saluto, di stringergli la mano ancora una volta. Era permesso soltanto il contatto attraverso tablet o cellulare. E così i figli, i coniugi, i genitori erano informati della morte del loro congiunto da una telefonata, niente di più. Anche se prima i sanitari s’erano prodigati con competenza e affetto. «Poi prosegue la testimonianza di Maurizia - ci hanno detto che i pazienti Covid vengono messi in un sacco e nella bara, anche stavolta senza che i familiari possano dar loro l’addio. Neanche post mortem. I rischi sarebbero stati ben maggiori a un funerale». Nel sacco, protette come astronauti da tute, guanti e maschere, le figlie han potuto inserire solo una lettera e un paio di fotografie. Come dei lasciapassare per l’aldilà.
Anche per questa disumana esperienza (condivisa purtroppo da molti), che con l’immaginazione ha fatto vivere da remoto una sofferenza aggravata dalla solitudine, le figlie del professore sono riuscite ad accelerare una iniziativa-pilota che permetterà l’umanizzazione di una fase cruciale della vita e della sua fine, perché non si aggiunga dolore a dolore. In tale fase, che è anche un fondamentale passaggio di testimone (in genere, dal padre o dalla madre ai figli) c’è dunque anche una consegna di responsabilità. Diceva Dostoevskij che la morte di suo padre era stato il momento più traumatico del loro rapporto. Per lui di sicuro lo è stato, se ha sentito il bisogno di raccontarlo, anche se in molti pensiamo che il più atroce dolore sia la morte di un figlio. Ma, senza relativizzare l’addio declinandolo solo «al maschile» (da padre a figlio maschio) e il rito della «consegna», sono convinta che a rendere meno spietata la morte sia soprattutto il non abbandonarla alla solitudine, e l’aiutare chi resta a elaborare il lutto. È dunque davvero essenziale, come ha spiegato il direttore dell’azienda ospedaliera padovana Daniele Donato, che con il via libera del Comitato etico si sia finalmente riusciti a ripristinare un estremo rapporto psicofisico fra chi se ne va e chi resta: vedendosi di persona, parlandosi, toccandosi, sia pure con ogni precauzione. Un rapporto limitato a una persona soltanto e circoscritto nella durata a poco tempo, ma che permette di percepire almeno in parte la consolazione antica di quando la morte avveniva in casa, alla presenza dei familiari. Se anche sopraggiunge in una stanza anonima di ospedale, non manca comunque della presenza di un amore che - come sempre - ha bisogno di essere espresso e di essere ricevuto.