Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Prelevato dall’fbi a Belluno chiede la grazia a Joe Biden
I giudici: non andava estradato. A Venezia la causa per 2 milioni di euro
Giuseppe Lo Porto è un 88enne di origini siciliane che sta scontando l’ergastolo negli Usa dopo essere stato condannato per violenza sessuale sulla figliastra minoren- ne. Arrestato, pagò la cauzione per poi fuggire in Europa, prima ad Amsterdam e poi a Cortina d’ampezzo e a Pieve di Cadore. Arrestato dai carabinieri, fu prelevato dall’fbi nel carcere di Belluno, nel 2012, e riportato negli Stati Uniti. Una sentenza del Consiglio di Stato dice però che ‘estradizione non doveva essere concessa. Ora lui - che si è sempre professato innocente - vuole due milioni di euro di risarcimento e chiede la grazia al presidente Biden.
Tra i detenuti della prigione della contea di Baldwin, in Alabama, negli Stati Uniti, c’è un anziano imprenditore italiano prelevato dagli agenti dell’fbi nel 2012, mentre si trovava in carcere a Belluno. Sta scontando l’ergastolo per un’orribile storia di violenza sessuale su una bambina e da alcuni giorni è stato trasferito nella struttura ospedaliera carceraria, per l’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute. Ma a complicare il caso, è che esiste una sentenza del Consiglio di Stato che dice che la sua estradizione non andava fatta e che annulla il provvedimento col quale, nove anni fa, il ministero concesse il suo trasferimento negli Usa.
«Il decreto – si legge nella sentenza del 2019 - recava un presupposto di fatto errato o, se si vuole, divenuto inattuale e superato». E il presupposto è che l’fbi venne a prendersi questo ricercato con in mano un passaporto americano: peccato che lui non avesse più la cittadinanza statunitense, visto che ci aveva rinunciato in favore di quella italiana.
Lunedì, in corte d’appello a Venezia, si è discusso della richiesta di risarcimento da 2 milioni di euro presentata nei confronti dell’italia da Lo Porto per l’ingiusta estradizione. E ora il suo legale, il veneziano Luciano Faraon (presidente dell’associazione internazionale vittime di errori giudiziari) ha scritto al premier Mario Draghi «affinché sia provveduto al suo rientro in Italia», e intanto sta redigendo una richiesta di grazia rivolta al neo-presidente Joe Biden.
Un passo indietro. Il protagonista di questa vicenda è Giuseppe «Pino» Lo Porto, imprenditore di origini siciliane che ha 88 anni. Mentre la sua azienda (che godeva di alcuni appalti per l’esercito Usa) prosperava facendogli guadagnare milioni di dollari, nel 1987 sposò una statunitense adottandone i due bimbi avuti da un precedente matrimonio. Nel 1995 la donna chiese e ottenne il divorzio, denunciando Lo Porto per abusi sessuali su una figlia, sostenendo che risalissero a cinque anni prima, quando la vittima aveva appena otto anni. Lui si è sempre proclamato innocente.
Nonostante una perizia sembrasse scagionarlo, l’imprenditore fu incarcerato per poi uscire su cauzione. E qui, il caso si complica. Perché, col fallimento della sua società (che garantiva la cauzione) e il trasferimento di parte del patrimonio all’ex moglie, Pino Lo Porto rischiava di dover tornare in prigione e per questo prese la decisione che poi avrebbe innescato gli eventi successivi: fuggire. Si rifugiò in Olanda, dove fu raggiunto dalla richiesta di estradizione, ma il tribunale di Middelburg dichiarò la pretesa americana «inammissibile per mancanza di prove», in quando «viziate da assenza di garanzie nell’audizione della minorenne presunta vittima di abusi». Tornato libero l’imprenditore rientrò in Italia il 20 dicembre del 2010 e si trasferì prima a Cortina d’ampezzo (dove si riprese la cittadinanza, dopo aver rinunciato a quella americana) e poi a Pieve di Cadore, dove risulta ancora risiedere. Ed è proprio in quest’ultimo paese che il 7 maggio 2012 fu arrestato nella caserma dei carabinieri dove si era presentato per un problema con la patente. Ai militari bastò controllare il terminale per scoprire che su di lui pendeva il decreto di estradizione.
Il giorno prima dell’udienza davanti al giudice del Riesame, fissata per il 25 maggio 2012, fu prelevato dagli agenti dell’fbi (muniti del passaporto giudicato irregolare) e trasferito in Alabama per i processi che avrebbero portato alla condanna all’ergastolo per abusi sessuali e, prima ancora, a dieci anni per «bail jamping», la fuga dopo il pagamento della cauzione. «Non ho mai abusato di quella bambina, prego il nostro governo di riportarmi a casa: non voglio morire in questa prigione» è l’appello che Lo Porto fa arrivare al Corriere del
Veneto attraverso il suo legale. «Si tratta di un errore giudiziario - rilancia l’avvocato Faraon - per il quale anche l’italia ha la sua dose di responsabilità, visto che non poteva concedere l’estradizione». Che sia o meno l’autore delle violenze sulla figliastra, il caso presenta aspetti che potrebbero pesare sulla valutazione che il presidente Biden farà della richiesta di grazia.
Nel frattempo, qualcosa si sta muovendo: il governo italiano avrebbe chiesto agli Usa di trasferire il detenuto nel nostro Paese affinché sconti qui la condanna. Al momento, però, nessuna risposta.