Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Benini, primo medico allo Iov «Risultato del lavoro in team ora ricerca e innovazione»
Dottoressa Patrizia Benini, che effetto le fa essere il primo direttore generale medico dell’istituto oncologico veneto?
«Per me è un onore, è il coronamento di una carriera costruita grazie al lavoro di squadra. Ci credo fermamente, consente traguardi non raggiungibili da soli. E infatti il mio primo atto da dg sarà di incontrare i professionisti che operano allo Iov».
Un po’ di merito se lo concede?
«Preferisco riconoscerlo ai miei genitori, senza il loro aiuto non sarei arrivata dove sono. Hanno faticato molto per farmi studiare. Mia madre Marina, che oggi ha 92 anni, faceva la magliaia, e papà Guido, custode forestale, 95. Ricorderò sempre quando, nel 1978, mi accompagnò al concorso per entrare all’università Cattolica di Roma. Lo vinsi ma lui non rimase a dormire nella capitale perché non c’erano i soldi. Noi siamo trentini, di Arco. Da allora cominciai a mantenermi agli studi facendo il direttore dei Collegi femminili della Cattolica, in cambio di vitto e alloggio. Pensi che ancora oggi sono in chat con tante studentesse di allora».
Fu il suo inizio?
«Sì, prima la specializzazione in Neurologia per far contenti i miei genitori che volevano facessi il medico per avere il posto sicuro, mentre io avevo già deciso di diventare direttore sanitario. Poi l’ingresso alla direzione sanitaria al Gemelli di Roma, che mi mandò due anni a guidare una struttura riabilitativa convenzionata a Vasto Marina. Facevo su e giù in pullman. Nel ‘94 l’esordio in Veneto, dirigente medico all’ospedale di Conegliano, nel ‘97 responsabile del polo di Vittorio Veneto, quindi direttore di entrambi».
Nel 2000 l’approdo a Padova, alla direzione del Sant’antonio, poi le nomine a direttore sanitario in Azienda ospedaliera e all’usl Veneto orientale. Infine direttore di funzione ospedaliera a Treviso e sanitario all’usl di Padova.
«Il cerchio si chiude: sono partita da una struttura universitaria, appunto il Gemelli, per arrivare a un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, che riunisce assistenza e ricerca. L’esperienza maturata mi sarà molto utile per dialogare con le altre aziende della regione, in particolare con l’azienda ospedaliera di Padova e le Usl Euganea e di Treviso, città che ospitano le due sedi dello Iov. Ci sono connessioni strutturali e operative».
Cos’ha in programma? «Metterò a frutto l’esperienza maturata per creare percorsi di collegamento con le Usl per la prevenzione e gli screening, con i medici di famiglia, gli ospedali di comunità e gli hospice per la gestione del paziente dopo la fase acuta».
E sul fronte della ricerca? «È appunto l’altra vocazione dello Iov, che va incentivata non solo per mantenere il riconoscimento a Irccs concesso dallo Stato (e relativi fondi per gli studi, ndr), ma anche al fine di promuoverne un ulteriore sviluppo. In termini di terapie, conoscenze, nuove tecnologie».