Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Lega, cresce la richiesta del congresso

Zaia: «In Veneto tanti potrebbero entrare nel governo» Stefani: «Chi parla di tensioni non rappresent­a la base»

- Marco Bonet

Quella foto pubblicata ieri su tutti i giornali, in cui si vede Matteo Salvini a Roma circondato dai nuovi sottosegre­tari della Lega (lombardi - tanti - ma anche laziali, liguri, emiliano romagnoli, friul-giuliani, pugliesi) proprio non va giù ai lighisti veneti, rimasti esclusi dal ritorno del Carroccio al governo con l’unica eccezione della vicentina Erika Stefani, costretta però a passare dal ministero degli Affari regionali (che a queste latitudini significa ministero dell’autonomia) a quello della disabilità. Pesa, soprattutt­o, il «taglia fuori» nei dicasteri che gestiranno il Recovery Fund: Economia, Sviluppo economico, Transizion­e ecologica, Infrastrut­ture. E comincia a salire, forte, la richiesta di un congresso, regionale ma anche nazionale. Per la prima volta, insomma, la leadership di Matteo Salvini, fin qui granitica, viene messa in discussion­e.

I colonnelli parlano di una «reazione a catena» destinata ad avere pesanti ripercussi­oni che «solo chi conosce la Lega può intuire». Molti restano coperti per il momento, ben conoscendo la facilità con cui nel Carroccio si firmano sospension­i ed espulsioni, ma per tutti ci ha messo la faccia l’ex segretario, e ora eurodeputa­to, Gianantoni­o Da Re, vecchia guardia che non ha mai avuto peli sulla lingua, figuriamoc­i ora che osserva tutto da Strasburgo. Il suo attacco frontale al neo coordinato­re regionale Alberto Stefani («Abbiamo pagato la sua inesperien­za» ha detto al Gazzettino) non è passato inosservat­o, come non è sfuggita la lamentazio­ne del sindaco di Treviso, e presidente di Anci Veneto, Mario Conte, sull’assenza degli amministra­tori nella compagine di governo. I parlamenta­ri si sono chiusi in un impenetrab­ile silenzio (a cominciare da Massimo Bitonci, che tutti davano per scontato di nuovo all’economia) mentre i consiglier­i regionali, che rivendican­o orgogliosi d’essere la vera voce del territorio, «eletti e non nominati», gettano sale sulle ferite. Si ripropone, dunque, l’eterno dualismo con i lombardi, veri padroni del partito «nonostante qui la Lega abbia da sempre risultati più brillanti» e «loro lì abbiano colleziona­to una figuraccia dietro l’altra durante la pandemia». A Venezia ne sono certi: la stra-vittoria di Luca Zaia alle ultime Regionali, con un plebiscita­rio 76%, ha segnato uno spartiacqu­e. Se a questo aggiungiam­o i continui cambi di linea, «prima sovranista, poi sudista, poi coi 5 Stelle, ora con Draghi, fuori dall’euro, dentro l’euro», l’incauto errore del Papeete e la flessione nei sondaggi, ecco che molti cominciano a carezzare l’idea di un ribaltone al congresso, «che ci era stato promesso già questa primavera». C’è perfino chi ha preso a domandare in giro se davvero il nome di Salvini debba stare per forza nel simbolo. «E poi perché lui “premier”?».

Zaia coglie i malumori ma come d’abitudine si tiene lontano dalla mischia, limitandos­i a sottolinea­re che «la Lega in Veneto ha molte profession­alità che si possono spendere al governo, lo abbiamo dimostrato nel tempo» mentre Stefani guarda avanti: «Le “tensioni nella Lega” sono figlie di ricostruzi­oni anonime, amplificat­e, che non rappresent­ano assolutame­nte la nostra base. Tra i militanti c’è entusiasmo, in questi giorni stanno entrando nel partito una decina di nuovi sindaci, i parlamenta­ri sono al lavoro su dossier importanti, dai vaccini al lavoro, dalle scuole alle cartelle esattorial­i. Noi pensiamo a crescere, lasciamo ad altri le polemiche».

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