Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’ABORTO, LA LEGGE E IL BOICOTTAGGIO
Ci sono leggi per cui cittadine e cittadini si son battuti con passione, convinzione e forza. Una di queste è la 194, contro la quale però, con dialettiche immersioni ed emersioni carsiche, si continua a scagliarsi, benché si tratti di una norma giuridica confermata (serve sempre ripeterlo?) da referendum. Una legge pagata dallo Stato e dai cittadini, che garantisce la possibilità di por fine a una gravidanza indesiderata, ma non impone obblighi di sorta. Abortire, che ovviamente non può essere un obbligo in una Paese democratico, può tuttavia essere un bisogno, nato talvolta dalla disperazione. Eppure la 194 viene ancora considerata una legge peccaminosa, demoniaca, simile a un omicidio, perché anche se il feto non è ancora una persona, può diventarlo se non se ne interrompe la vita.
Non è questo il momento né la sede per ridiscutere un tema infinito su cui le opinioni si sono spesso contraddette. Ma vale la pena analizzare alcuni motivi per cui si continua a interrogarsi e a cercare di boicottare la volontà di molte donne che per svariati motivi son decise ad abortire. Tutti sanno che in tutta Italia straripano medici obiettori, chi per motivi etici chi per motivi di carriera, e il Veneto è fra questi. Abortire legalmente in ospedale (sempre con sofferenza) è dunque difficile, e così pure usufruire a casa della pillola abortiva, la Ru 486. Non basta. C’è anche colei che, in preda al dubbio dopo un rapporto non sufficientemente protetto, vorrebbe servirsi della pillola del giorno dopo (o dei 5 giorni dopo), ma è spesso ostacolata da medici o farmacisti perché «potrebbe darsi che la gravidanza fosse iniziata già al momento del rapporto sessuale». Mosso da questo e simili ossessivi princìpi, un assessore piemontese ha costituito un fondo di 400 mila euro da distribuire a un centinaio di donne per indurle a portare avanti la gravidanza non voluta (per motivi economici ma come è noto non solo per questi). La cifra basterebbe a provvedere alle spese del futuro bambino per qualche mese, massimo un anno. Una «mancia». Dunque si tenderebbe ad abolire un diritto di scelta, corrompendo donne incinte considerate fragili (e perciò corrompibili) con piccole somme di denaro, mentre quei soldi potrebbero essere utilizzati per le necessità delle già madri che non dispongono di sufficienti servizi, asili-nido gratuiti, lavoro decentemente pagato e via così. Si dice, da parte delle associazioni pro-vita, che si tratterebbe anche di ripopolare il mondo: che però, anche in questo difficile periodo, non è privo di bambini. Ci sono paesi europei in cui non sono rarissime le madri di più bambini, che possono permettersi di metterli al mondo perché dispongono di contratti lavorativi che tutelano la maternità, di buoni stipendi, non inferiori a quelli degli uomini che fanno il medesimo lavoro, di asili raggiungibili con mezzi pubblici funzionanti, di consultori efficienti. Insomma non è vero che le donne non vogliono figli: ma vogliono averli, se e quando li vogliono, in condizioni di godere della maternità e di garantire ai piccoli un’infanzia serena, e non perché «comperate» con una mancetta. E con l’ennesima crociata.