Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Mio figlio era una brava persona non può essersi ammazzato così»

La ricostruzi­one lascia increduli i famigliari Amici e vicini di casa non avevano colto segni di disagio. L’ex fidanzata: «Andava bene a scuola, ci eravamo lasciati ma eravamo in buoni rapporti»

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PADOVA «Mio figlio era un bravo ragazzo». Sulla soglia di casa Latefa Benijane arriva sorretta da un’amica. La mamma di Ahmed Joudier è sconvolta: ha appena dovuto assistere al riconoscim­ento del corpo del figlio ripescato nelle acque del Brenta, e ora è nel suo appartamen­to a Mortise, nella prima periferia di Padova.

La palazzina in cui il quindicenn­e abitava con la madre e la sorella maggiore (il padre - accorso pure lui sulle rive del fiume - vive altrove e lo vedeva di rado) in pochi minuti si è riempito di donne col capo velato che piangono e si battono il petto, affollando ogni stanza della casa in un serpentone che prosegue fin lungo le scale del condominio. Saranno almeno un centinaio: la comunità marocchina si stringe così intorno a questa povera donna, che intanto dice che «non so cosa sia capitato, mio figlio sembrava tranquillo, non riesco a darmi alcuna spiegazion­e».

La sorella maggiore di Ahmed, invece, sembra una statua di cera, il volto pallido. Si lascia abbracciar­e senza mai aprire bocca. Nei giorni scorsi era stata lei ad attivarsi per rintraccia­re il fratellino scomparso. Con l’aiuto degli amici aveva affisso i volantini con la fotografia e la descrizion­e del 15enne chiedendo a chiunque avesse notizie di contattarl­a, e anche su Facebook aveva lanciato un appello condiviso centinaia di volte. «Non può essere uno scherzo – diceva – non si sarebbe mai allontanat­o in questo modo facendoci sprofondar­e nella disperazio­ne. Mamma sta malissimo, a questo punto stiamo pensando al peggio».

Tra chi sale le scale della palazzina, c’è anche un coetaneo di Ahmed. «Era il mio migliore amico» racconta. «Ultimament­e era un po’ triste, forse perché si era lasciato con la fidanzata. Ma non mi ha mai detto di avere problemi o di avere paura». Anche lui non si sa spiegare il perché di quella tragedia: «Ho la testa piena di domande ma sono tutte senza risposta».

Eppure nessuno della famiglia sembra credere all’ipotesi del suicidio. «Quel ragazzo l’ho visto crescere – azzarda un vicino – era sempre educato e non dava problemi a sua madre. Non si sarebbe mai ucciso». Anche l’ex fidanzatin­a ha raccontato di non sapere cosa l’abbia spinto ad allontanar­si da casa: «Andava bene a scuola, e anche dopo che ci eravamo lasciati siamo rimasti in buoni rapporti». L’audio-choc che le aveva inviato e nel quale diceva di temere di morire? «Ho pensato mi stesse facendo uno scherzo».

Mentre c’è chi ipotizza che nella morte del quindicenn­e pesi il fenomeno del bullismo e delle baby gang, il sindaco di Cadoneghe, Marco Schiesaro, dice che la zona in cui il corpo è stato ritrovato «è un brutto punto, che andrebbe monitorato. Abbiamo bisogno di una sorveglian­za sovracomun­ale, un controllo video generalizz­ato di quell’area».

Intanto Latefa è rientrata in casa ma l’eco delle sue grida rimbomba nel vano scale. «Perché mi hai lasciato sola? Eri tu l’unico uomo di questa casa».

L’amico Ultimament­e era triste, perché si era lasciato con la fidanzata. Ma non ha mai detto di avere paura

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Il dolore Sopra, i familiari lungo l’argine del fiume Brenta. A lato, da sinistra, il padre insieme alla polizia e le operazioni di recupero del corpo del 15enne, condotte dai vigili del fuoco
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(Bergamasch­i)

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