Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
CHE COS’È DIVENTATO IL LAVORO
L’altro ieri si è festeggiato il lavoro. Giusto. Doveroso. Si è tornati in piazza dopo gli anni del Covid. Ma il lavoro non è solo il Primo maggio, deve contaminare pure tutti gli altri giorni. Non abbiamo bisogno di riflessioni a spot. Serve molto altro. Il lavoro oggi è soprattutto precarietà, esclusione, abbandono, uscita volontaria per insopportabilità. Ed è anche morte. Chi nel tempo ha cercato di capire, con la ricerca e l’impegno, come liberare il lavoro, oggi si trova di fronte a una società che sembra sognare il sogno perverso di fare a meno del lavoro. Intanto si libera di coloro che lavorano. Non sembri esagerata e inopportuna l’affermazione. Tre morti al giorno a causa non del lavoro ma dei modi in cui l’occupazione è organizzata e sfruttata, sono sotto gli occhi di tutti. Rischiamo di scadere nell’assuefazione e nell’indifferenza, con gli annessi e connessi rituali di indignazione ed esecrazione di circostanza. Nel frattempo tre persone al giorno, sempre più donne e sempre più giovani, non tornano più nella casa da cui sono usciti la mattina per andare a lavorare. Le cause sono oggettive: riguardano, tutte, la progressiva trascuratezza, fino all’indifferenza, delle condizioni di sicurezza.in quelle condizioni, la solitudine del liberismo esasperato detta legge e il sindacato arranca sia nella rappresentanza sia nella creazione di linguaggi adatti a parlare, ma soprattutto ad agire per tutelare una delle principali fonti dell’esperienza umana.
Il lavoro, con la dematerializzazione, è divenuto significato e senso, oltre che relazione e azione. È divenuto differenziato e basato su forme molteplici. Non riguarda più la certezza del posto fisso. Ma è fonte di riconoscimento e di valore esistenziale. È l’incertezza la nostra condizione costante. Cerchiamo, invece, di abitare, perlopiù tacitamente, la certezza, e in essa ci rassicuriamo, fino a essere sicuri da morire. Trasformiamo le discontinuità in consuetudini, neutralizzando il dubbio e la sua fecondità. Dell’incertezza siamo divenuti capaci di accorgerci con l’avvento evolutivo del comportamento simbolico, sembra non più di duecentomila anni fa circa. Prima, per quello che ne sappiamo, coincidevamo con noi stessi e i nostri comportamenti erano immediati e pratici. Di fronte a quello che accade intorno a noi, in questo nostro tempo, spesso pare di regredire alla condizione di indifferenza verso il dubbio o verso affermazioni di certezze proposte come oggettive, mentre sono ineluttabilmente unilaterali. Quello che sarebbe importante, considerare il lavoro in connessione con la vita, attende chi sia in grado di comprenderlo, così forse l’esperienza lavorativa non sarà fonte di morte, ma di vita.