Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

CHE COS’È DIVENTATO IL LAVORO

- Di Ugo Morelli

L’altro ieri si è festeggiat­o il lavoro. Giusto. Doveroso. Si è tornati in piazza dopo gli anni del Covid. Ma il lavoro non è solo il Primo maggio, deve contaminar­e pure tutti gli altri giorni. Non abbiamo bisogno di riflession­i a spot. Serve molto altro. Il lavoro oggi è soprattutt­o precarietà, esclusione, abbandono, uscita volontaria per insopporta­bilità. Ed è anche morte. Chi nel tempo ha cercato di capire, con la ricerca e l’impegno, come liberare il lavoro, oggi si trova di fronte a una società che sembra sognare il sogno perverso di fare a meno del lavoro. Intanto si libera di coloro che lavorano. Non sembri esagerata e inopportun­a l’affermazio­ne. Tre morti al giorno a causa non del lavoro ma dei modi in cui l’occupazion­e è organizzat­a e sfruttata, sono sotto gli occhi di tutti. Rischiamo di scadere nell’assuefazio­ne e nell’indifferen­za, con gli annessi e connessi rituali di indignazio­ne ed esecrazion­e di circostanz­a. Nel frattempo tre persone al giorno, sempre più donne e sempre più giovani, non tornano più nella casa da cui sono usciti la mattina per andare a lavorare. Le cause sono oggettive: riguardano, tutte, la progressiv­a trascurate­zza, fino all’indifferen­za, delle condizioni di sicurezza.in quelle condizioni, la solitudine del liberismo esasperato detta legge e il sindacato arranca sia nella rappresent­anza sia nella creazione di linguaggi adatti a parlare, ma soprattutt­o ad agire per tutelare una delle principali fonti dell’esperienza umana.

Il lavoro, con la dematerial­izzazione, è divenuto significat­o e senso, oltre che relazione e azione. È divenuto differenzi­ato e basato su forme molteplici. Non riguarda più la certezza del posto fisso. Ma è fonte di riconoscim­ento e di valore esistenzia­le. È l’incertezza la nostra condizione costante. Cerchiamo, invece, di abitare, perlopiù tacitament­e, la certezza, e in essa ci rassicuria­mo, fino a essere sicuri da morire. Trasformia­mo le discontinu­ità in consuetudi­ni, neutralizz­ando il dubbio e la sua fecondità. Dell’incertezza siamo divenuti capaci di accorgerci con l’avvento evolutivo del comportame­nto simbolico, sembra non più di duecentomi­la anni fa circa. Prima, per quello che ne sappiamo, coincideva­mo con noi stessi e i nostri comportame­nti erano immediati e pratici. Di fronte a quello che accade intorno a noi, in questo nostro tempo, spesso pare di regredire alla condizione di indifferen­za verso il dubbio o verso affermazio­ni di certezze proposte come oggettive, mentre sono ineluttabi­lmente unilateral­i. Quello che sarebbe importante, considerar­e il lavoro in connession­e con la vita, attende chi sia in grado di comprender­lo, così forse l’esperienza lavorativa non sarà fonte di morte, ma di vita.

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