Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Truffe online, presi i cyber-malviventi
Il gruppo piratava gli smartphone delle vittime: denaro reinvestito illecitamente
Il loro modus operandi? Un mix di tecniche informatiche all’avanguardia e minacce, in nome dei soldi. Tanti soldi: dopo un’indagine serrata coordinata dalla Procura della repubblica di Padova e durata per oltre due anni, la polizia di Stato ha sgominato una banda di cyber-criminali dedita principalmente alle truffe online, ma anche all’autoriciclaggio di denaro e allo spaccio di droga: in 6 ai domiciliari e obbligo di dimora.
PADOVA Il loro modus operandi? Un mix di tecniche informatiche all’avanguardia e minacce, in nome dei soldi. Tanti soldi: dopo un’indagine serrata diretta dalla Procura e durata per oltre due anni, la polizia di Stato ha sgominato una banda dedita principalmente alle truffe online, ma anche all’autoriciclaggio di denaro e allo spaccio di droga.
La mente era Jacopo Bonollo, 25enne residente in città e destinatario della custodia cautelare in carcere al pari del 50enne vicentino Bruno Zoja: agli arresti domiciliari sono invece finiti il 49enne Andrea Torresin di Abano Terme, il 45enne Umberto Bedin di Campodarsego e il 39enne Andrea Benfatto di Stra (Venezia), mentre per la 44enne Luisa Fasolato è scattato l’obbligo di dimora ad Abano Terme. Sarebbero al momento una trentina le persone truffate in tutta Italia, con decine e decine di migliaia di euro prelevate dalla gang di truffatori con una doppia tecnica combinata.
A partire dal phishing: gli indagati inviavano mail o sms falsi con avvisi del tenore di “Attenzione, il suo conto è sospeso”, con tanto di link a un creato ad arte. I truffati, spaventati, cliccavano all’istante seguendo le successive istruzioni, e così facendo consentivano ai «cyber-malviventi» di installare sui propri telefonini l’applicazione di home banking con le loro credenziali.
A quel punto entra in gioco l’altra tecnica, denominata «Sim swapping»: con una serie di stratagemmi — tra cui la falsa denuncia di smarrimento della scheda Sim con il numero della vittima di turno — i truffatori bloccavano l’operatività degli smartphone «piratati», riuscendo quindi ad agire in tutta tranquillità. E per agire si intende non solo prelevare importanti quantitativi di denaro dai conti correnti violati, ma utilizzare tali soldi per effettuare ricariche sulle proprie carte di credito prepagate, acquistare telefonini di alta fascia e Gratta e Vinci (con i premi che venivano poi convertiti in Bitcoin) o dedicarsi al traffico di hashish e marijuana, tanto che sono state comprovate cessioni di diversi chili di drosito ga e corrispondenti a somme superiori ai 10mila euro.
A scoperchiare il vaso di Pandora è stato un ristoratore cinese della città del Santo: gli inquirenti si sono presentati il 23 gennaio 2020 nel suo locale per verificare dei pagamenti effettuati da un cliente con una carta di credito clonata a un uomo di Forlì. Alla vista dei poliziotti il proprietario del ristorante ha vuotato il sacco, spiegando che il 25enne Jacopo Bonollo, capo della banda, lo aveva anche obbligato ad accettare un pagamento fittizio di mille euro con il Bancomat per ottenere in cambio 720 euro in contanti — lasciando i restanti 280 euro al cinese quale “ricompensa” — minacciandolo: «Fai questa operazione o sarà peggio per te e la tua famiglia, so dove abiti e che hai un fratello molto piccolo». Partendo dai frame dalle telecamere catturati quella sera, gli agenti della mobile sono riusciti a risalire alle utenze telefoniche e all’auto utilizzata da tre dei membri della banda, tassello iniziale dell’«operazione Jacking» (da «Jack», soprannome fornito dal 25enne al ristoratore cinese).