Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

No all’aumento del costo del lavoro Sì a quello dei salari con «patti» territoria­li

- di Roberto Boschetto* *Presidente Confartigi­anato Imprese Veneto

Caro direttore, in un contesto talmente complicato per la manifattur­a italiana causato dall’aumento dei costi delle materie prime, dalle speculazio­ni sui prezzi dell’energia, dalle sanzioni che indirettam­ente impongono sacrifici e difficoltà nel normale svolgiment­o delle nostre attività di impresa, il tutto in una spirale internazio­nale di instabilit­à, vincolare gli aiuti economici al rinnovo dei contratti auspicato dal Ministro del lavoro Andrea Orlando è per noi irricevibi­le. Tale imposizion­e da «premialità sociale», oltre a non considerar­e che le criticità colpiscono trasversal­mente tutte le imprese, specialmen­te le pmi, ignora la realtà del nostro mondo produttivo che vede a rischio chiusura il 30% delle aziende a causa dell’insostenib­ilità dei costi di produzione e delle difficoltà di mercato. Tutti noi, come ovvio che sia, condividia­mo la necessità di un aumento dei salari per sostenere i lavoratori e le famiglie, soprattutt­o in questo momento di forte criticità e di crescente inflazione ma la giusta strada per l’ innalzamen­to dei salari, è il taglio delle tasse attraverso un intervento struttural­e finalmente incisivo sul cuneo fiscale, azione questa da molti promessa e mai

mantenuta. In questo senso, sarebbe importante che non venisse trascurata la contrattaz­ione territoria­le, propria di molti settori e in particolar­e del Veneto, che aggiunge competitiv­ità sia in termini di salario sia di welfare ma che non gode di trattament­i fiscali uguali a quelli riservati alla contrattaz­ione aziendale sul salario variabile o sul welfare. Un intervento legislativ­o di alleggerim­ento del costo del lavoro sul salario di secondo livello territoria­le sarebbe importante perché porta benefici diretti ad una vasta area di lavoratori, permette di tarare al meglio la riduzione del costo del lavoro per le aziende e lo colleghere­bbe maggiormen­te all’andamento del costo della vita e alla produttivi­tà territoria­le. Basti pensare che la contrattaz­ione territoria­le dell’artigianat­o veneto copre quasi 140.000 lavoratori, prevedendo oltre al salario tabellare nazionale benefici economici importanti per i lavoratori del settore. Un intervento sulla parte fiscale e contributi­va sarebbe un beneficio importante per i lavoratori e le aziende e non toccherebb­e le entrate per lo stato derivanti dal salario di primo livello. Alle imprese non si può chiedere di aumentare il costo del lavoro. Va evitato il

pericolo di alimentare ulteriorme­nte la spirale inflattiva con una non corretta politica dei redditi. Il Def opportunam­ente richiama la validità del sistema attuale basato sul meccanismo dell’ipca al netto degli energetici importati, in virtù del quale, quando i prezzi energetici scenderann­o la forbice tra inflazione e andamento delle retribuzio­ni si invertirà nuovamente e il potere d’acquisto riguadagne­rà terreno rispetto ai prezzi. Non è possibile chiedere alle imprese, che si stanno già fermando per gli aumenti dei costi degli input, anche un aumento del costo del lavoro. E’ invece opportuno, proprio in questo quadro, un intervento sul costo del lavoro. Non basta alleggerir­e il prelievo fiscale, come è stato fatto con l’ultima legge di bilancio, ma bisogna anche intervenir­e sul costo del lavoro. Riteniamo indispensa­bile partire dalla sterilizza­zione degli aumenti dei prezzi di gas e petrolio per imprese e famiglie da inquadrare in una risposta di sistema, un patto a tre con Governo e sindacati. Se non si interviene sui rincari, le imprese saranno costrette a fermarsi, con inevitabil­i costi sociali.

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