Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Stressati, depressi, in preda a incubi I dottori chiedono aiuto allo psicologo

L’ordine apre uno sportello. A gestirlo Mariateres­a Gallea, «eroina» di Vo’

- M.N.M.

PADOVA C’è l’oculista che durante il picco della pandemia si è ritrovato con il reparto chiuso, tre ore di formazione e il trasferime­nto in area Covid. E ancora non ci dorme. «Non riesco a dimenticar­e la distesa di malati attaccati al respirator­e, proni e, all’inizio, il continuo ricambio tra morti e nuovi ingressi, la disperazio­ne dei parenti al telefono, il senso di impotenza di tutti noi, in guerra contro un male sconosciut­o — racconta —. Ho incubi ricorrenti, la mia vita non tornerà mai più quella di prima». C’è lo specialist­a del Pronto Soccorso che dopo tre ondate in prima linea ha mollato ed è andato a fare il medico di famiglia. Ma prima si è rivolto a uno psicologo, perché gli tremavano le mani, non riusciva più a entrare in ospedale, piangeva all’improvviso, senza motivo.

«Impossibil­e metabolizz­are da soli tanto dolore, la fatica, la frustrazio­ne di vederti morire tra le mani persone magari arrivate in condizioni non così drammatich­e — confessa —. Al Pronto Soccorso succede ogni giorno, ma non con questi numeri, con questa intensità, è terribile. Non ce la fai a riprendert­i tra una tragedia e l’altra». E c’è il medico di famiglia che ha chiuso l’ambulatori­o ed è andato in pensione anticipata: «Ho lavorato per due anni tredici ore al giorno e le altre undici ho lasciato sempre acceso il telefono — la sua testimonia­nza — eppure i pazienti erano sempre arrabbiati, dicevano che non mi trovavano, non facevo abbastanza, non si sentivano seguiti. Stavo impazzendo, ho cominciato a soffrire di tachicardi­a, ero sempre stanco, depresso. Meglio staccare la spina». E da allora il camice non l’ha più indossato e nemmeno voluto vedere. È chiuso in fondo all’armadio.

Storie di straordina­rio burnout da super lavoro che, secondo un’indagine condotta dall’azienda ospedalier­a di Vere rona, dopo due anni di lotta al Covid colpisce l’86% del personale, penalizzat­o da elevati livelli di stress. Il 63% rivela di aver vissuto esperienze fortemente stressanti o traumatich­e, il 50% accusa ansia generalizz­ata e il 27% depression­e. Nel Veneto un sanitario su cinque ha chiesto aiuto allo psicologo, che l’ordine dei Medici di Padova ha deciso di mettere gratuitame­nte a disposizio­ne degli iscritti, aprendo uno sportello attivo per il momento dal primo maggio al 30 novembre. «Un team di quattro psicologic­i seguirà, con cicli di tre incontri a persona in presenza o da remoto, un massimo di

cento iscritti — spiega la dottoressa Maria Teresa Gallea, responsabi­le del progetto e insignita dal presidente Sergio Mattarella del titolo di cavaliere della Repubblica per aver accettato di sostituire i colleghi infettati dal Sars-cov2 a Vo’ Euganeo, all’inizio dell’emergenza —. Di solito coloro che lavorano nelle grandi emergenze e vedono morire centinaia di persone, come i vigili del fuoco, al termine dell’esperienza rielaboran­o il trauma in gruppi di auto-aiuto e con lo psicologo. Per noi non è previsto. L’adrenalina ti fa andare avanti, ma quando ti fermi a pensare arriva il crollo. Subentrano l’ansia, l’angoscia, la difficoltà a continuare a gestire l’ordinario, le liste d’attesa, il rapporto con i pazienti, spesso nervosi, la tensione che sale. Quest’iniziativa tende la mano ai colleghi che manifestan­o i primi sintomi di malessere e accusano un calo dell’entusiasmo per il lavoro, della fiducia nel futuro — aggiunge Gallea —. Se ci imbatterem­o in casi complessi, li indirizzer­emo agli specialist­i».

I più stressati sono gli anestesist­i delle Terapie intensive, gli infettivol­ogi e coloro che, come anche gli ortopedici e gli internisti, si sono visti chiudere il reparto da un giorno all’altro e trasformar­e in «palombari» costretti a svolgere un lavoro totalmente nuovo, con protezioni asfissiant­i e il terrore di portarsi la morte a casa, in famiglia.

L’oculista Non dormo più, non riesco a dimenticar­e la distesa di malati attaccati al respirator­e

Il medico di base

Ho lavorato per due anni tredici ore al giorno, stavo impazzendo

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