Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Codice degli appalti rivisto I sindacati: «Minacciate occupazione e sicurezza»
A rischio la clausola sociale di opere pubbliche e servizi
VENEZIA Si chiama «clausola sociale», figura nel Codice degli Appalti come «obbligatoria» ma, nel disegno di legge di revisione in discussione a Roma, sta per diventare «facoltativa». Un aggettivo rischia di travolgere la vita di centinaia di migliaia di lavoratori impiegati con appalti pubblici in Veneto.
Questo il grido d’allarme dei sindacati che, ieri, unitariamente, hanno chiesto ala Regione di farsi parte attiva per bloccare il cambio del Codice voluto in nome delle semplificazioni propedeutiche al Pnrr. Di cosa si tratta? Il meccanismo degli appalti pubblici prevede, grazie alla clausola in questione, che nel momento di subentro di nuove ditte si verifichi, attraverso piani di riassorbimento, il mantenimento della forza lavoro in un dato settore. Parliamo di opere pubbliche, quindi cantieri con committenza pubblica, e di servizi e quindi addetti alle pulizie e alle mense ospedaliere, guardiania, attività legate alle Rsa e così via.
Una mole enorme di investimenti da una parte e una di lavoratori dall’altra. Se quantificare quest’ultima, spiegano Silvana Fanelli, Cgil, Cinzia Bonan, Cisl e Brunello Zacchei, Uil, è pressoché impossibile, il montante economico è preciso. In Veneto gli ultimi dati ufficiali disponibili, relativi al 2020 e quindi senz’altro più bassi di oggi, parlano di 17.481 procedure che movimentano 11,4 miliardi di euro, di cui 4,7 riguardano i lavori pubblici e 2,1 i servizi. Numeri che parlano da soli: l’impatto degli appalti pubblici sull’economia e sull’occupazione è evidente. La sola Azienda Zero, per dire, affida appalti per 1,772 miliardi di euro, con un’occupazione stimata in circa 5000 unità: 800 lavoratori sono impiegati nei Cup, 800 nella ristorazione, 2300 nella pulizia, 110 nelle lavanderie, 467 nella gestione degli impianti energetici, 479 nell’assistenza scolastica. Rendere facoltativa la clausola sociale significa rischiare la polverizzazione delle eccellenze raggiunte in regione anche tramite il protocollo d’intesa in materia siglato solo un anno fa con Palazzo Balbi e che viene portato a modello in Italia. «Ciò che accadrà - spiegano i sindacati - è che si contrarrà l’occupazione e che si verificherà un dumping contrattuale». Tradotto: pur di mantenere il posto di lavoro, un addetto alla mensa o un operaio si adatteranno a contratti meno equi, a demansionamenti con il mancato riconoscimento delle competenze maturate o, ancor peggio, verranno sostituiti con altri lavoratori non formati. Insomma, dal circolo virtuoso innescato dal protocollo regionale alla spirale negativa del ricatto. La triplice invoca anche una risposta dalla Regione: «Abbiamo scritto al presidente Luca Zaia e ai tre assessori coinvolti per deleghe: Elisa De Berti, Manuela Lanzarin e Elena Donazzan, attendiamo una risposta». Per tutti risponde proprio Donazzan: «Non posso che essere pienamente d’accordo con le preoccupazioni dei sindacati. La clausola sociale è un rafforzativo di buone relazioni, significa meno incidenti sul lavoro, più condivisione dell’organizzazione e personale formato. Purtroppo la contrattazione è prerogativa nazionale, chiediamo come mai questo governo ignori temi significativi di questa portata». E tutto per colpa di un aggettivo.