Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Effetto guerra, Pil veneto in frenata
Crescita al 2,4% contro il 7% del 2021: «La metalmeccanica sta soffrendo di più»
VENEZIA Il Pil del Veneto quest’anno aumenterà e ancora una volta la sua progressione, intorno al 2,4%, sarà superiore alla media nazionale, che si ferma al 2,2%. Ma si tratta di una soddisfazione tiepida, se si ricorda che lo scorso anno la progressione era stata tre volte più robusta (+7,2%) e, soprattutto, se si tiene conto che le previsioni sono volatili nel settore della metalmeccanica, fortemente condizionato dagli effetti della guerra in Ucraina.
VENEZIA Il Pil del Veneto quest’anno aumenterà e ancora una volta la sua progressione, intorno al 2,4%, sarà superiore alla media nazionale, che si ferma al 2,2%. Ma si tratta di una soddisfazione tiepida, se si ricorda che lo scorso anno la progressione era stata tre volte più robusta (+7,2%, effetto anche di un «rimbalzo» sul mesto anno del Covid) e, soprattutto, se si tiene conto che nella stima di oggi c’è un «di cui» legato ad un segmento fondamentale della manifattura - la metalmeccanica - fortemente condizionato dagli effetti della guerra in Ucraina, cioè da un fattore che tutto esprime tranne segnali di miglioramento.
I dati sulla dinamica della ricchezza veneta sono contenuti nell’ultimo bollettino socio-economico e sono tratti da numeri elaborati dall’istat, dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dall’agenzia di studi statistici Prometeia. La produzione interna regionale si riposizione su una curva più timida rispetto a quella dello scorso anno e questo anche per il vistoso raffreddamento nei consumi delle famiglie (+2,2% rispetto al +4,7% di un anno fa) e negli investimenti fissi (+6,5% contro un +17,5%).
Restringendo l’attenzione sull’industria (e in particolare sulla meccanica)i pronostici però si fanno molto più impalpabili perché lo scenario, già disorientato dai prezzi di energia, semilavorati e materie prime esplosi nella seconda metà del 2021, è più di altri vulnerabile agli impatti della guerra. Diretti e indiretti. C’è chi ha (o aveva) relazioni strette coi mercati di Russia e Ucraina al punto di avere fabbriche dislocate in quei Paesi e chi, più semplicemente, ha prodotto e spedito macchinari che non riesce a farsi pagare.
Oppure, come nel caso di Pm Profiles, di Salzano (Venezia), non ottiene più l’acciaio prodotto a Mariupol, nel grande impianto assediato dai russi. «Produciamo macchine per il piegamento delle lamiere – spiega Graziano Pizzolato, uno dei titolari – e fra Russia e Ucraina la quota che ora ci viene a mancare è tra il 15% ed il 20% su un fatturato complessivo intorno ai 60 milioni. I clienti ci chiedono la restituzione degli acconti ma noi, invocando la causa di forza maggiore, cerchiamo di resistere per vie legali mentre proviamo a orientarci su altri clienti. Le relazioni si sono ormai inasprite e noi stiamo cercando di parare il colpo meglio che possiamo. Ma nessuno dei nostri 170 dipendenti sarà lasciato a casa».
A veder messo in discussione il 10% dei ricavi, che vale intorno ai 35 milioni, è il player del condizionamento veronese Aermec. «Esploriamo mercati alternativi – spiega il presidente, Alessandro Riello – ma è chiaro che troviamo pure i nostri concorrenti impegnati in questo e dunque siamo tutti più aggressivi». Anche Riello (ex presidente di Confindustria Verona) promette che non ci saranno riflessi occupazionali e qualche fermata «sarà eventualmente non per la mancanza di ordini ma per la difficoltà di reperimento di materie prime e componentistica. Giusto ieri, per avere dei particolari microprocessori, abbiamo dovuto trattare con dei broker a 50 dollari contro un prezzo unitario normalmente di cinque. Andare direttamente dai produttori significa sentirsi rispondere che bisogna aspettare il 2027».
A vederla più buia è Lorenzo Brandolese, presidente di Alu-pro, società di Noale, nel Veneziano, impegnata nella produzione di profili metallici per serramenti. La guerra non incoraggia la gente a comperare case, spiega, e perciò nemmeno finestre. Così, per la prima volta, «la prossima settimana una linea lavorerà al 50% e dovremo mettere parte del personale in ferie». L’altro motivo di ansia per l’imprenditore è il fatto di possedere a Lipetsk, in Russia, uno stabilimento che oggi, essendo ritenuta l’italia un paese ostile, è a rischio di nazionalizzazione. «Se non lo faranno è perché nessuno sarebbe in grado di condurre l’impianto – prosegue – ma la spada di Damocle c’è. Indipendentemente da tutto, sento una forte puzza di recessione: fino al 24 febbraio eravamo pieni di lavoro, adesso gli ordini calano di giorno in giorno».
Con uno sguardo ampio, infine, il segretario generale della Fiom Cgil del Veneto, Antonio Silvestri, riconosce che la guerra ha portato ai massimi livelli questioni già fuori controllo. «Energia e materie prime, il refrain è sempre lo stesso, e i primi a sbatterci contro sono fonderie e acciaierie. Per ora c’è chi ha aperto una Cassa integrazione ordinaria e chi ha rimodulato i turni, elementi per sperare in soluzioni a breve oggettivamente non ne vedo».
Alessandro Riello Esploriamo mercati alternativi. La nostra difficoltà è la mancanza di componenti