I giudici azzerano il teorema Bpvi e censurano Trinca: «Indecoroso»

TREVISO «Voglio leggere prima di esprimere un giudizio. Del resto non sarebbe la prima volta che mi pento per ciò che dico o faccio. Non tanto per la cosa in sé, quanto per le circostanze». L’ex presidente di Veneto Banca, Flavio Trinca, per ora, preferisce non commentare. Eppure è una vera e propria stoccata diretta contro di lui quella nelle motivazioni della sentenza. «La sua tesi - si legge - secondo cui l’imputato è stato colpito per esigenze di sistema perché si opponeva alla fusione di Veneto Banca con la Popolare di Vicenza, voluto dalla vigilanza, è puramente congetturale».

E i giudici rincarano la dose: «Stendendo un velo pietoso sulla credibilità di

Trinca e sulle sue dichiarazioni, la ricerca di un partner di adeguato standing era stata sì imposta dalla Banca d’italia verso la fine del 2013 ma la Popolare vicentina era solo una delle possibili soluzioni».

La censura si allarga: «Trinca - rimarca uno dei passaggi nelle motivazioni - originariamente indagato nel presente procedimento, pur di sottrarsi alle proprie responsabilità, ha dato anche a dibattimento un’immagine indecorosa di se stesso, avendo limitato la propria quasi ventennale - e lautamente retribuita esperienza alla presidenza dell’istituto di credito alla presenza in ufficio per poche ore al giorno, per leggere il giornale e prendere il caffé».

Secondo i pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama Flavio Trinca non sarebbe stato imputabile in quanto non avrebbe avuto alcun potere decisionale. «Stavo lì per essere al massimo informato su vicende secondarie come gli acquisti di arredi, libri e opere d’arte aveva spiegato agli inquirenti - durante la mia permanenza in ufficio mi limitavo a leggere la documentazione che mi veniva sottoposta in visione e attendevo che l’amministratore delegato mi venisse ad informare sulle vicende della banca. Ma Consoli non desiderava mai mettermi al corrente degli aspetti gestionali».