Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Fatture false per 9 milioni È bufera sull’ingrosso Cina
Nuova operazione sul centro commerciale. Bertin: «È l’ora di chiuderlo»
PADOVA Fatture false per oltre 40 milioni, una quarantina di imprese «inesistenti» che le emettevano per scaricare circa 9 milioni di Iva da trasferire nei conti all’estero. Una presunta frode ai danni delle casse dello Stato che i militari dei comandi provinciali di Padova e Venezia hanno smascherato con un lavoro congiunto iniziato l’anno scorso sotto la direzione del Procuratore europeo delegato di Venezia.
A ritornare nel mirino delle fiamme gialle è uno dei centri commerciali più chiacchierati di Padova: il Centro ingrosso Cina. È qui che avevano sede le sette imprese nei confronti delle quali il gip di Padova ha disposto un decreto di sequestro preventivo di beni e denaro per un valore di 9 milioni, derivati dalla frode sull’iva, di cui 500 mila già recuperati dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Venezia, sempre su disposizione della Procura Europea.
Grazie all’indagine combinata dei Nuclei di polizia economico-finanziaria delle due province è stato possibile svelare il meccanismo evasivo. Venivano infatti annotate all’interno della contabilità fatture relative a operazioni inesistenti, le quali sono poi confluite nelle dichiarazioni dei redditi di cinque diverse annate (dal 2016 al 2020) per un imponibile di oltre 40 milioni di euro, a cui corrisponde l’iva sottoposta a sequestro. L’analisi dei flussi di fatturazione di alcune società operanti sempre al Centro Cina di corso Stati Uniti ha condotto a una quarantina di imprese che sarebbero «cartiere». Aziende con alti indici di pericolosità fiscale per mancanza di strutture aziendali, personale inesistente come gli stessi amministratori, talvolta, e con vita breve: il noto «apri e chiudi» per nascondere le tracce al fisco. Queste cartiere risultavano registrate nelle province di Prato e Milano e avevano legami con la Grecia, la Slovenia e l’ungheria. È da qui che arrivava la merce in Italia già sdoganata e senza Iva: capi di abbigliamento provenienti dall’estremo Oriente e commercializzati da operatori cinesi. Fra i titolari delle sette imprese dell’ingrosso Cina sono stati individuati alcuni cittadini cinesi residenti a Spinea. Oltre a ipotizzare la milionaria frode al fisco, le fiamme gialle hanno messo in luce un sistema organizzato con lo scopo di inviare in Cina quanto più denaro possibile. Il giudice per le indagini preliminari ha osservato come i fornitori, cioè le cartiere che avrebbero fatto false fatture, vendessero molta più merce di quella acquistata, per creare liquidità dalle frodi fiscali da mandare in patria. Una circostanza osserva Patrizio Bertin, presidente provinciale di Ascom Confcommercio, che fa pensare a un «salto di qualità dell’hub della contraffazione. Non ci stupisce - commenta - più volte abbiamo documentato come gli acquisti effettuati all’interno della maxi-struttura spesso non siano accompagnate da alcun documento. Ora basta, il Centro Ingrosso Cina va chiuso».
Secondo gli inquirenti i responsabili si avvalevano di 40 imprese inesistenti
Il presidente provinciale: «Più volte abbiamo documentato irregolarità»