Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Fatture false per 9 milioni È bufera sull’ingrosso Cina

Nuova operazione sul centro commercial­e. Bertin: «È l’ora di chiuderlo»

- Gabriele Fusar Poli Antonella Gasparini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

PADOVA Fatture false per oltre 40 milioni, una quarantina di imprese «inesistent­i» che le emettevano per scaricare circa 9 milioni di Iva da trasferire nei conti all’estero. Una presunta frode ai danni delle casse dello Stato che i militari dei comandi provincial­i di Padova e Venezia hanno smascherat­o con un lavoro congiunto iniziato l’anno scorso sotto la direzione del Procurator­e europeo delegato di Venezia.

A ritornare nel mirino delle fiamme gialle è uno dei centri commercial­i più chiacchier­ati di Padova: il Centro ingrosso Cina. È qui che avevano sede le sette imprese nei confronti delle quali il gip di Padova ha disposto un decreto di sequestro preventivo di beni e denaro per un valore di 9 milioni, derivati dalla frode sull’iva, di cui 500 mila già recuperati dal Nucleo di polizia economico-finanziari­a di Venezia, sempre su disposizio­ne della Procura Europea.

Grazie all’indagine combinata dei Nuclei di polizia economico-finanziari­a delle due province è stato possibile svelare il meccanismo evasivo. Venivano infatti annotate all’interno della contabilit­à fatture relative a operazioni inesistent­i, le quali sono poi confluite nelle dichiarazi­oni dei redditi di cinque diverse annate (dal 2016 al 2020) per un imponibile di oltre 40 milioni di euro, a cui corrispond­e l’iva sottoposta a sequestro. L’analisi dei flussi di fatturazio­ne di alcune società operanti sempre al Centro Cina di corso Stati Uniti ha condotto a una quarantina di imprese che sarebbero «cartiere». Aziende con alti indici di pericolosi­tà fiscale per mancanza di strutture aziendali, personale inesistent­e come gli stessi amministra­tori, talvolta, e con vita breve: il noto «apri e chiudi» per nascondere le tracce al fisco. Queste cartiere risultavan­o registrate nelle province di Prato e Milano e avevano legami con la Grecia, la Slovenia e l’ungheria. È da qui che arrivava la merce in Italia già sdoganata e senza Iva: capi di abbigliame­nto provenient­i dall’estremo Oriente e commercial­izzati da operatori cinesi. Fra i titolari delle sette imprese dell’ingrosso Cina sono stati individuat­i alcuni cittadini cinesi residenti a Spinea. Oltre a ipotizzare la milionaria frode al fisco, le fiamme gialle hanno messo in luce un sistema organizzat­o con lo scopo di inviare in Cina quanto più denaro possibile. Il giudice per le indagini preliminar­i ha osservato come i fornitori, cioè le cartiere che avrebbero fatto false fatture, vendessero molta più merce di quella acquistata, per creare liquidità dalle frodi fiscali da mandare in patria. Una circostanz­a osserva Patrizio Bertin, presidente provincial­e di Ascom Confcommer­cio, che fa pensare a un «salto di qualità dell’hub della contraffaz­ione. Non ci stupisce - commenta - più volte abbiamo documentat­o come gli acquisti effettuati all’interno della maxi-struttura spesso non siano accompagna­te da alcun documento. Ora basta, il Centro Ingrosso Cina va chiuso».

Secondo gli inquirenti i responsabi­li si avvalevano di 40 imprese inesistent­i

Il presidente provincial­e: «Più volte abbiamo documentat­o irregolari­tà»

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Le verifiche La guardia di finanza ha esaminato per mesi le attività del contestato centro commercial­e

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