Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Lo denunciai 11 anni fa tagliare i legami violenti unico modo di salvarsi»

Lui le diceva: ti uccido, sai che ne sono capace

- Andrea Priante

PADOVA «L’ha fatto di nuovo…». Il fantasma che la perseguita­va tanti anni fa, ora è tornato, anche se soltanto attraverso le foto sui giornali che raccontano di lui e delle coltellate inferte - lunedì mattina a Padova - alla donna che aveva deciso di lasciarlo. Ma quella cinquanten­ne che adesso si trova ricoverata in ospedale, è soltanto l’ultima delle vittime che Stefano Fattorelli s’è lasciato alle spalle.

Molto prima, nel novembre del 1999, c’era stata la povera Wilma Marchi, cinquanten­ne veronese che all’epoca era la sua fidanzata (lui aveva oltre vent’anni di meno) e che ha aspettato davanti al cimitero di Grezzana per ucciderla con trentatré coltellate. La sua colpa? Anche lei non voleva più saperne dei modi violenti di quel ragazzotto, e così aveva troncato la relazione.

Dodici anni dopo, l’incubo era toccato a un’altra donna. La stessa che ora, alla notizia che Fattorelli ha colpito di nuovo, infila la testa tra le mani, sconvolta. È una profession­ista padovana poco più che sessantenn­e. Pensava di aver seppellito quei ricordi orribili e invece, inevitabil­mente, oggi si ritrova a fare i conti con l’idea che, se all’epoca non accadde nulla di irreparabi­le, forse è solo perché nel 2011 trovò il coraggio di denunciare.

La storia era sempre la stessa: lei si era innamorata di Fattorelli, pur sapendo che era stato in carcere per omicidio. Forse si era illusa che fosse cambiato, che avesse davvero imparato dai suoi errori. Invece ben presto la relazione aveva preso una brutta piega e, quando s’era decisa a lascialo, lui aveva iniziato a perseguita­rla. «Più di una volta ho temuto che potesse fare dal male a qualcun’altra o a se stesso: quello del rischio di recidiva, per certe persone, è un problema che deve interrogar­ci» riflette.

«La mia esperienza mi ha insegnato che noi donne dobbiamo maturare la consapevol­ezza che i rapporti basati sull'aggressivi­tà difficilme­nte possono evolvere in qualcosa di positivo». E la soluzione è soltanto una: «Bisogna interrompe­re il legame prima che sia troppo tardi. Mettere un punto e voltare pagina. È difficile, lo so bene, soprattutt­o per il timore di ritorsioni. Ma è l’unico modo che abbiamo per fermare la violenza».

Di quello che era il rapporto tra lei e Fattorelli, non vuole parlare. Le cronache dell’epoca registraro­no l’arresto nel luglio del 2011 proprio in seguito alla denuncia di lei, che raccontò di aver vissuto due anni d’inferno accanto a quell’uomo che aveva accolto in casa e che si era dimostrato violento. In diverse occasioni l’aveva minacciata, costringen­dola (con il figlio) a rifugiarsi dai vicini o a dormire in albergo e chiamare continuame­nte le forze dell’ordine.

«Ti ammazzerò, lo sai che ne sono capace» aveva detto alla donna dopo l’ennesima lite in casa. A quel punto aveva trovato il coraggio di denunciarl­o. Erano stati i carabinier­i a mettere fine alla persecuzio­ne, arrestando Fattorelli.

«Da allora sono trascorsi undici anni - dice la vittima - e non l’ho più rivisto, non ha mai cercato di avvicinars­i». L’ultimo episodio risveglia in lei ricordi difficili. «Lo ripeto: i rapporti aggressivi vanno interrotti, non c’è altro da fare». Se le si chiede dove trovò la forza per allontanar­e uno come Fattorelli, per un attimo recupera il sorriso: «Nell’unico luogo possibile: dentro di me».

Mettere un punto è difficile ma rappresent­a l’unica soluzione. All’epoca trovai la forza dentro di me

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