Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Scrisse: «Unica Repubblica, quella Sociale» Il candidato Fdi viene assolto
VERONA «L’unica Repubblica è quella sociale». È finita in tribunale «l’immagine di un cartello con caratteri grafici littori» pubblicata su Facebook il 2 giugno 2020 dal veronese Massimo Mariotti, esponente di Fratelli d’italia, presidente di Serit (società di gestione dei rifiuti) e membro del cda del Consorzio Zai. Figura notissima della destra veronese, Mariotti è tra i candidati alle amministrative del 12 giugno e ieri, in aula, ha rischiato la condanna: nei suoi confronti, infatti, il pm aveva chiesto 8 mesi di reclusione e 400 euro di multa. Invece la giudice Paola Vacca, accogliendo l’istanza assolutoria della difesa, lo ha scagionato dall’accusa di «apologia del fascismo» motivando che «il fatto non è previsto dalla legge come reato». A parere del magistrato, quello espresso da Mariotti sarebbe stato «più che altro uno slogan, una frase a effetto priva di capacità di produrre l’effetto di istigare alla riorganizzazione del partito fascista». Il tutto, sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale secondo cui «non è rilevante penalmente la mera difesa elogiativa del fascismo, ma solo un’esaltazione del fascismo tale da poter condurre a riorganizzare il partito fascista». Di parere opposto invece la procura, che nella requisitoria ha sottolineato «l’appartenere notoriamente dell’imputato a un partito politico di destra per il quale svolgeva attività di militanza politica; il richiamo alla Repubblica Sociale di mussoliniana memoria; i caratteri di stampa “littori” della scritta, che richiamano appunto le scritte del periodo fascista». All’epoca, quell’immagine postata da Mariotti in concomitanza con la celebrazione della Festa della Repubblica, scatenò una ridda di polemiche. Chi non si era limitato ai commenti decidendo di presentare un espostodenuncia, fu la sezione locale dell’associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, oltre a Rifondazione comunista e Info- spazio 161 secondo cui «non è ammissibile che il presidente di una società controllata, pagato con soldi pubblici, si esprima così».