Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Le ore in coda con i pazienti e i medici ormai stremati

Viaggio in un ospedale del Veneto, dove la carenza di personale dilata le attese. «Questa non è più vita, capisco chi sceglie di andarsene»

- Di Andrea Priante

Un giorno trascorso nel limbo del pronto soccorso in una delle regioni dove la carenza di medici ha costretto le aziende sanitarie ad appaltare 18 reparti d’urgenza su 26 alle cooperativ­e che si sobbarcano l’onere di reperire il personale specializz­ato, anche pagandolo a peso d’oro.

VICENZA «Che codice le hanno dato?». La signora è sulla sedia a rotelle, il piede fasciato «ma il dolore non lo sento quasi più». Sarà la noia, sarà per distrarsi, ma ha voglia di chiacchier­are. Il codice è il bianco, che poi è quello che viene assegnato ai pazienti considerat­i di scarsa gravità. «Oh, poverino. Si armi di pazienza, che qui va per le lunghe». Indica un anziano, seduto accanto a lei. «Io e mio marito siamo qui da tre ore. Due mesi fa ne abbiamo aspettate nove».

Un giorno sospesi nel limbo del pronto soccorso di un grosso ospedale del Veneto, una delle regioni dove la carenza di medici ha costretto le aziende sanitarie ad appaltare 18 reparti d’urgenza su 26 alle cooperativ­e che si sobbarcano l’onere di reperire il personale specializz­ato, anche pagandolo a peso d’oro.

Siamo al «San Bortolo» di Vicenza, quartier generale dell’usl 8. Qui, come in tante parti d’italia, la gente si accampa nella sala d’attesa con un occhio puntato sullo schermo che aggiorna costanteme­nte le condizioni in cui si ritrovano a lavorare medici e infermieri. Alle 13 il personale sta visitando 66 pazienti: diciotto codici gialli, sei verdi, ventitré bianchi e diciannove sotto osservazio­ne. Fuori dagli ambulatori, ad aspettare una chiamata che chissà quando arriverà, restano in 28, dei quali otto «gialli», il codice che viene assegnato ai pazienti gravi. «E non è neanche una delle giornate peggiori» sibila un’infermiera. Meglio non dirlo a un’altra signora che lascia la struttura alle 13.05 «dopo che ci sono entrata ieri sera alle 20. Ho passato la notte qui, mi hanno fatto le radiografi­e, m’hanno rivoltata come un calzino… Sono stati tutti gentili, ma il tempo pareva non passare mai».

Se esercitare in ospedale è comunque difficile, nei pronto soccorso il carico di lavoro e di stress probabilme­nte batte gran parte degli altri reparti. Basta parlare con qualche dottore per sentirsi dire che «ci sono delle volte in cui pare di lavorare al supermerca­to: esce un paziente, entra il successivo. E via così per dodici ore filate, ininterrot­tamente». Ci sono giorni dove non riescono neppure ad andare in bagno. Sia chiaro: alcuni pazienti usano il pronto soccorso come fosse l’ambulatori­o del loro medico di famiglia e arrivano lamentando disturbi che non hanno alcuna urgenza. È così che le attese si dilatano a dismisura. Ma il problema principale resta la difficoltà a reperire nuovi medici, col risultato che quelli in organico sono costretti a turni massacrant­i, al punto che sempre più profession­isti scelgono la strada delle dimissioni. «E io li capisco – si sfoga uno specialist­a – perché non hai più il tempo per avere una vita privata. E anche quando torni a casa, esausto, devi rispondere alle email e metterti a studiare i protocolli, leggere libri per l’aggiorname­nto…». Sono sfiniti. Viene da chiedersi chi glielo faccia fare. «Dicevano che eravamo degli eroi ma non ci siamo mai sentiti trattati come tali.

Erano solo parole. A tenerci qui è la passione per questo lavoro».

A Vicenza, perfino il primario del pronto soccorso si è dimesso. Il dottor Francesco Corà ha resistito tredici anni in prima linea, ma ora ha detto basta: anche lui si limiterà all’attività libero-profession­ale. «Non è una fuga, ma certamente lavorare in un reparto d’urgenza non è facile» ha spiegato.

Ieri il Codacons ha suggerito al Veneto di ricorrere in via emergenzia­le ai medici militari, prima che la situazione collassi. «Diversi ospedali della regione non riescono a far fronte agli accessi – spiega il presidente Carlo Rienzi – una situazione che può esporre il personale a una valanga di denunce per omissione di soccorso, lesioni e, in caso di decessi nei pronto soccorso, omicidio colposo».

La Regione sta correndo ai ripari come può e le Usl fanno i salti mortali per accaparrar­si nuovi camici bianchi, reclutando­li anche tra gli specializz­andi. Ma i sindacati dicono che si doveva intervenir­e prima: «La politica è rimasta immobile per troppo tempo. Da una decina d’anni non si fanno assunzioni, e le università hanno utilizzato il numero chiuso in modo tanto stringente da non garantire il turnover» riflette il segretario dell’anaao, Roberto Nicolin. E non va meglio tra gli infermieri: «Scarseggia­ndo i dottori - dice Andrea Gregori, del Nursind - sempre più spesso ci si deve affidare agli infermieri più esperti, sottoposti pure loro a carichi di stress che oramai sono inaccettab­ili» .

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 ?? ?? il «San Bortolo» La carenza di organico pesa anche al «San Bortolo» di Vicenza. il principale ospedale della provincia berica.
il «San Bortolo» La carenza di organico pesa anche al «San Bortolo» di Vicenza. il principale ospedale della provincia berica.

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