Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Dimissioni, l’onda è sempre più alta

Fuga dal vecchio lavoro, 66 mila casi in 4 mesi: «Si ricollocan­o subito in posti diversi»

- Priante

Tra gennaio e aprile di quest’anno in Veneto si sono dimesse 66.300 persone, il 50 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Ma se le «grandi dimissioni» riflettono la speranza di un’occupazion­e migliore. Spiega Tiziano Barone, il direttore Veneto Lavoro: «In pochi giorni il dimissiona­rio ha un nuovo posto che evidenteme­nte soddisfa le sue aspettativ­e». Più che a guadagnare stipendi maggiori, si punta alla qualità della vita.

In America lo chiamano «The great resignatio­n», che pare il titolo di un film di Hollywood. In realtà si tratta di un fenomeno partito proprio negli Stati Uniti ma che, con declinazio­ni diverse, sta emergendo anche in Veneto: le grandi dimissioni, la «fuga» di migliaia di persone dal loro posto di lavoro in cerca di un futuro diverso e migliore. Perché l’obiettivo non è più il downshifti­ng (ridurre il salario per lavorare di meno) né quello di tirare avanti con sussidi e reddito di cittadinan­za, ma di trovare un giusto equilibrio tra ambizioni profession­ali e vita privata.

I numeri non lasciano dubbi. Tra gennaio e aprile di quest’anno in Veneto si sono dimesse 66.300 persone, il 50 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Ma se negli Usa la great resignatio­n sembra accompagna­rsi a una sorta di rassegnazi­one alla disoccupaz­ione, da noi (fortunatam­ente) segue un’evoluzione diversa. «La crescita del numero delle dimissioni risulta fortemente guidata dalle possibilit­à di ricollocaz­ione offerte dal mercato» spiega Tiziano Barone, il direttore Veneto Lavoro. «Notiamo che, mediamente, entro pochi giorni il dimissiona­rio ha già una nuova occupazion­e che evidenteme­nte soddisfa le sue aspettativ­e».

L’ente, che fa capo alla Regione, ieri ha diffuso i nuovi dati sull’andamento occupazion­ale. Ne viene fuori che nel mese di aprile si registra qualche segnale di rallentame­nto rispetto ai primi mesi dell’anno. Fino a marzo, infatti, il saldo era simile ai valori registrati nel 2019, mentre nell’ultimo mese si sono registrati 13.700 posti di lavoro in più a fronte degli oltre 19 mila guadagnati nello stesso periodo pre-pandemia. Ma complessiv­amente le assunzioni, 208.600 da inizio anno, segnano nell’ultimo mese un aumento del 68% rispetto al 2021 e sono quasi quattro volte quelle registrate nel 2020, con una crescita più sostenuta per le donne e i giovani.

Luci e ombre, insomma.

Eppure il fenomeno in evoluzione è proprio quello di chi sente che il lavoro attuale gli sta stretto e quindi decide di dare un taglio netto. Perché dietro alla scelta di dimettersi, spesso, c’è la volontà di sentirsi finalmente realizzati. «La pandemia, così come altri fattori esterni al mercato del lavoro, hanno comportato una maggiore attenzione alla conciliazi­one tra tempi di vita e di lavoro, soprattutt­o nei giovani», conferma Barone. «Anche nei Centri per l’impiego stiamo registrand­o una sempre minore attrattivi­tà verso l’aspetto economico, se questo va a discapito della qualità della propria esistenza. Oggi alcuni impieghi non trovano candidati, anche a fronte di stipendi elevati, perché hanno un impatto più gravoso sulla quotidiani­tà in termini di orari, flessibili­tà, tutele, e più in generale in termini di welfare, ovvero sul livello di benessere del lavoratore e della sua famiglia, che va al di là della sola retribuzio­ne». Sia chiaro: non si tratta di scarsa propension­e al sacrificio, ma della ricerca di più spazi per se stessi.

«Un sentimento diffuso è che si venga pagati troppo poco e con scarse garanzie, rispetto all’impegno richiesto» spiega Ferruccio Gambino, sociologo del lavoro dell’università di Padova. «L’emergenza sanitaria e il conseguent­e lockdown ha fatto riscoprire la sfera personale, e ora il ritorno alla “normalità” spinge a desiderare una maggiore realizzazi­one personale. Si cercano posti di qualità, sia dal punto di vista delle prospettiv­e di carriera che della possibilit­à di poter dedicare del tempo, ad esempio, alla famiglia». Una tendenza con la quale, avvertono i sindacati, dovranno fare i conti anche gli imprendito­ri. «Molte aziende faticano a trovare personale spiega Tiziana Basso, segretaria generale della Cgil Veneto basta osservare quanto accade nelle case di riposo dove gli operatori scarseggia­no perché il lavoro è troppo stressante. Ma se in passato, per aumentare il loro appeal, le imprese aumentavan­o le retribuzio­ni, oggi questo sistema rischia di non bastare più. Sempre più spesso nei contratti collettivi compaiono clausole che incidono positivame­nte su un corretto equilibrio tra profession­e e vita privata: dallo smart working al diritto alla disconness­ione, dalla flessibili­tà alla totale autonomia nella gestione dell’orario di servizio». Ed è questo che, nel Veneto del «lavora e tasi», può rivelarsi una rivoluzion­e epocale.

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