Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Benetton: a volte bisogna perdersi per ritrovarsi
Il presidente di Edizione tra gli studenti all’ateneo di Padova: «Occasione per ridisegnare il proprio futuro»
«Bisogna perdersi per ritrovarsi». Alessandro Benetton discute con gli studenti all’università di Padova della sua ricetta del far impresa. E sul tema delle dimissioni: «C’è una discontinuità sociale e tecnologica, per molti è l’occasione di ridisegnare il proprio futuro».
Il fenomeno delle dimissioni? I giovani non più disposti a una vita di solo lavoro? «C’è in atto una discontinuità profonda, sociale e tecnologica. Ma io sono fiducioso». È all’università di Padova, Alessandro Benetton, fondatore della società di Private Equity 21 Invest, che compie giusto trent’anni, e presidente di Edizione, la holding della famiglia Benetton, dove guida, da primus inter pares, la gestione affidata alla seconda generazione, che deve riorientare la cassaforte di famiglia, dopo l’uscita da Autostrade e dal cono d’ombra della tragedia del Ponte Morandi. «Come ci sentiamo l’abbiamo già detto dice Benetton su Genova all’arrivo in ateneo -. Rimane che eredito con i miei cugini una tradizione di grande rispetto per il lavoro, di centralità dell’azienda, di amore per le cose ben fatte».
La svolta s’è già vista sulla comunicazione, dove Alessandro ha iniziato a parlare anche di Edizione nel dialogo diretto, già aperto prima, con i giovani, via social. E con gli studenti, nell’aula magna di ingegneria, invitato ieri dal club di Starting finance, c’è ora da discutere partendo dalla sua autobiografia appena uscita, «La traiettoria». «Raccontando episodi personali - dice - ho voluto lanciare un messaggio di fiducia: a volte bisogna perdersi per ritrovarsi. Ognuno di noi è quel che fa quando si confronta con quanto non si aspetta. I momenti di sblocco, l’uscita dalla zona di comfort, avvengono nei momenti più sfortunati, quando ti senti meno sicuro di quel che stai facendo».
La carne sul fuoco, prima dell’ingresso in sala, è tanta. A partire dalle dimissioni dal lavoro e della sua dichiarata fiducia. «Sì - replica il presidente di Edizione - per molti è l’occasione di disegnare un proprio futuro. C’è capitato di vedere qualcuno che ha rinunciato a posizioni in società strutturate e prestigiose, per seguire strade indipendenti». E i giovani, spesso indicati come non disposti a certi lavori, dagli operai ai pizzaioli? Colpa dell’offerta, o di loro, del non volersi sporcare le mani? «Io posso dire del food, mondo apprezzato con tanti casi di successo - replica Alessandro -. Mi vien da dire che ci sono modelli di business da rivedere. Forse qualcuno ha meno voglia di altri; ma più che fossilizzarsi su quel che non funziona, conviene concentrarsi sulle potenzialità che possono venire dal ripensarsi». Ma che mondo si può costruire per i giovani, di fronte al crollo demografico che li sta facendo scomparire? «Il Paese deve porsi interrogativi replica Alessandro -. C’è il tema dei cervelli in fuga, dobbiamo essere attrattivi anche verso giovani di altre Paesi e altre etnie».
E nel ridisegno della galassia Benetton, cosa si sta pensando per attrarli? Alessandro sorride: «Ci siamo dati direttive semplici, a noi piace chiamarle i valori dei fondatori: sviluppo, rapporti internazionali e con il territorio, oltre i confini degli interessi degli azionisti. Se facciamo bene questo mestiere, rispetto a Benetton group, Autogrill e Atlantia, daremo il giusto contributo ai giovani. Saranno settori che necessitano di un buon dialogo con le tecnologie, di rapporti internazionali e piattaforme capaci di aiutarti in un mondo che va alla velocità della luce».
Poi il faccia a faccia con gli studenti, per un’ora e mezza. Alessandro ripercorre alcuni aneddoti nel libro, come quello di sua madre che lo guarda stupito quando le confida di non voler entrare in azienda, e lei gli chiede di ripensarci e di guardarsi con più umiltà, ricorrendo al detto veneto «Sinque schei de mona in scarsela no fa mai mal». O quello con il padre Luciano, che lo spinge nell’avventura di 21 Invest, ma che lo guarda, alla spiegazione del 21 nel nome come riferimento al secolo a venire, dicendogli «sarebbe un peccato se finisse prima».
Enumera successi e fallimenti, ma invita i giovani a guardare sempre al lato umano, perché se si raccontano spesso i grandi successi imprenditoriali, nella normalità la vita è una sequenza di prove ed errori, di fallimenti e successi. In cui è importante avere umiltà, curiosità ed empatia «e cercare di imparare dagli altri». E chiude, Alessandro, rispondendo alla domanda su quale sia la maggior soddisfazione nelle cose che ha fatto, con una risposta rivelatrice, che suona anche come un monito, a Nordest: «Di averle fatte con qualcun altro: mi dà soddisfazione. E invece è un grande limite dell’impresa del Dopoguerra, sempre incernierata su modelli in cui c’è uno al centro che più o meno non cambia mai. Mi auguro che la vostra generazione porti avanti un teorema diverso».
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Mi piace lavorare con gli altri Spero che la vostra generazione usi uno schema diverso dalla impresa dell’uomo solo