Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LA POLITICA CHE INCIDE

- Di Marco Bonet

Presi come siamo da questioni enormement­e più grandi, dai colpi di coda della pandemia alla tragedia della guerra in Ucraina passando per l’ennesima tempesta economica globale, nel Veneto dell’astensione al 40% molti si sono scordati che tra un mese si vota e quelli che lo sanno, non se ne curano più di tanto. Pare un affare tra i partiti e se ci si affaccia alla finestra dei social, il nostro spioncino nel giardino del vicino, si assiste a dibattiti (meglio: a furiose litigate) su tutto, vaccini, armamenti, perfino la stagflazio­ne, meno che sui progetti che dovrebbero cambiare le nostre vite in paesi e città nei prossimi cinque anni. Già, perché senza nulla togliere alle grandi idealità che sono il motore della Storia, è all’ombra dei municipi che la politica si traduce nel più immediato e tangibile dei cambiament­i (la rotonda che evita i morti sulla strada, il parco che ridà fiato al quartiere, la scuola finalmente rimessa in sesto, la nuova linea del tram), specie ora che grazie al Pnrr i soldi non sono più il problema (l’alibi?), neppure nei borghi più piccoli. Di più: proprio il controllo su come sarà spesa questa mole di denaro senza precedenti dovrebbe indurre l’elettore a preoccupar­si di chi sarà chiamato ad amministra­rla. Una volta scialacqua­ta, infatti, non basterà la lamentela, si rischia la culpa in vigilando.

La nuova centralità dei municipi, sede privilegia­ta dell’impegno svincolato dai partiti - come testimonia la miriade di liste civiche sorte pure nelle grandi città - e dalle careghe - molti degli incarichi nei Comuni sono oramai a compenso zero -, va di pari passo con lo «svuotament­o» del parlamento, stritolato tra l’unione Europea e i vari governi di emergenza nazionale, per non parlare del consiglio regionale, da tempo annichilit­o dalla personalit­à del presidente Luca Zaia. Proprio a Palazzo Ferro Fini si ha la riprova di ciò che si scrive: lì, infatti, siedono da sempre molti ex sindaci ed ex assessori (il sistema elettorale a preferenze favorisce chi è più radicato nei territori, a differenza di ciò che accade alla Politiche con senatori e deputati) e chiunque abbia l’occasione di scambiare due sincere parole con loro ne percepisce la frustrazio­ne e lo scoramento: erano abituati ad incidere davvero sulla realtà che li circondava e sulle loro comunità, si ritrovano a pigiare bottoni a comando, se in maggioranz­a, a combattere estenuanti battaglie contro i mulini a vento, se all’opposizion­e. «Se potessi, tornerei a fare il sindaco di corsa» rivelano alcuni di loro e anche se non ci si crede, non sempre lo stipendio (in qualche caso decuplicat­o) basta a lenire la malinconia. Chissà, forse è questa idea di poter cambiare le cose sul serio, gomito a gomito con i cittadini che ti fermano al bar e non sempre per compliment­arsi, che ha convinto Damiano Tommasi, ex calciatore della nazionale che di sicuro non ha bisogno del cedolino del Comune, a candidarsi a Verona, dove va in scena la sfida più interessan­te di questa tornata. Perché il centrosini­stra ha trovato l’alfiere che non ti aspetti, capace per una volta di sparigliar­e i giochi (e non solo per i trascorsi nell’hellas: vanta ad esempio rapporti solidi con l’universo cattolico della città) ma soprattutt­o perché il centrodest­ra, destinato all’ennesima vittoria sul velluto, si è infine frantumato, con l’ex sindaco Flavio Tosi e Forza Italia da una parte e l’uscente Federico Sboarina con i suoi Fratelli d’italia e la Lega (controvogl­ia) dall’altra. Una delle chiavi di lettura di queste elezioni sarà proprio la competizio­ne tra le liste di Salvini e Meloni, con il primo sempre più in difficoltà nel contenere l’ascesa della seconda, che in Veneto come altrove va capitalizz­ando il ruolo di unica opposizion­e al governo. Il Pd tenta il colpo a Verona ma si concentra su Padova, dove l’uscente Sergio Giordani è insidiato dall’ex presidente della locale Confindust­ria Francesco Peghin, con qualche smottament­o sul fianco sinistro. Tenere Padova (e tenerla bene, con un risultato convincent­e, magari già al primo turno) è la precondizi­one per tentare l’assalto il prossimo anno a Treviso e Vicenza e, di lì, provare a costruire un’alternativ­a credibile a Zaia alle Regionali del 2025, quando il presidenti­ssimo non si potrà più ripresenta­re. In chiusa, i Cinque Stelle. In Veneto non hanno mai attecchito ma a queste Comunali sono proprio evaporati: presentano un solo candidato sindaco su 86 Comuni al voto e il loro simbolo si trova sulla scheda soltanto a Padova e Mirano. Spariti pure in luoghi iconici per l’epopea pentastell­ata come Mira e Sarego, danno l’impression­e di essere alla disperata ricerca di un autore, dopo la scomparsa di Casaleggio e il ritiro di Grillo. La trama allestita da Conte, metà dentro e metà fuori l’esecutivo Draghi, non convince. Così è dura trovare interpreti, figuriamoc­i gli applausi.

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