Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
LA POLITICA CHE INCIDE
Presi come siamo da questioni enormemente più grandi, dai colpi di coda della pandemia alla tragedia della guerra in Ucraina passando per l’ennesima tempesta economica globale, nel Veneto dell’astensione al 40% molti si sono scordati che tra un mese si vota e quelli che lo sanno, non se ne curano più di tanto. Pare un affare tra i partiti e se ci si affaccia alla finestra dei social, il nostro spioncino nel giardino del vicino, si assiste a dibattiti (meglio: a furiose litigate) su tutto, vaccini, armamenti, perfino la stagflazione, meno che sui progetti che dovrebbero cambiare le nostre vite in paesi e città nei prossimi cinque anni. Già, perché senza nulla togliere alle grandi idealità che sono il motore della Storia, è all’ombra dei municipi che la politica si traduce nel più immediato e tangibile dei cambiamenti (la rotonda che evita i morti sulla strada, il parco che ridà fiato al quartiere, la scuola finalmente rimessa in sesto, la nuova linea del tram), specie ora che grazie al Pnrr i soldi non sono più il problema (l’alibi?), neppure nei borghi più piccoli. Di più: proprio il controllo su come sarà spesa questa mole di denaro senza precedenti dovrebbe indurre l’elettore a preoccuparsi di chi sarà chiamato ad amministrarla. Una volta scialacquata, infatti, non basterà la lamentela, si rischia la culpa in vigilando.
La nuova centralità dei municipi, sede privilegiata dell’impegno svincolato dai partiti - come testimonia la miriade di liste civiche sorte pure nelle grandi città - e dalle careghe - molti degli incarichi nei Comuni sono oramai a compenso zero -, va di pari passo con lo «svuotamento» del parlamento, stritolato tra l’unione Europea e i vari governi di emergenza nazionale, per non parlare del consiglio regionale, da tempo annichilito dalla personalità del presidente Luca Zaia. Proprio a Palazzo Ferro Fini si ha la riprova di ciò che si scrive: lì, infatti, siedono da sempre molti ex sindaci ed ex assessori (il sistema elettorale a preferenze favorisce chi è più radicato nei territori, a differenza di ciò che accade alla Politiche con senatori e deputati) e chiunque abbia l’occasione di scambiare due sincere parole con loro ne percepisce la frustrazione e lo scoramento: erano abituati ad incidere davvero sulla realtà che li circondava e sulle loro comunità, si ritrovano a pigiare bottoni a comando, se in maggioranza, a combattere estenuanti battaglie contro i mulini a vento, se all’opposizione. «Se potessi, tornerei a fare il sindaco di corsa» rivelano alcuni di loro e anche se non ci si crede, non sempre lo stipendio (in qualche caso decuplicato) basta a lenire la malinconia. Chissà, forse è questa idea di poter cambiare le cose sul serio, gomito a gomito con i cittadini che ti fermano al bar e non sempre per complimentarsi, che ha convinto Damiano Tommasi, ex calciatore della nazionale che di sicuro non ha bisogno del cedolino del Comune, a candidarsi a Verona, dove va in scena la sfida più interessante di questa tornata. Perché il centrosinistra ha trovato l’alfiere che non ti aspetti, capace per una volta di sparigliare i giochi (e non solo per i trascorsi nell’hellas: vanta ad esempio rapporti solidi con l’universo cattolico della città) ma soprattutto perché il centrodestra, destinato all’ennesima vittoria sul velluto, si è infine frantumato, con l’ex sindaco Flavio Tosi e Forza Italia da una parte e l’uscente Federico Sboarina con i suoi Fratelli d’italia e la Lega (controvoglia) dall’altra. Una delle chiavi di lettura di queste elezioni sarà proprio la competizione tra le liste di Salvini e Meloni, con il primo sempre più in difficoltà nel contenere l’ascesa della seconda, che in Veneto come altrove va capitalizzando il ruolo di unica opposizione al governo. Il Pd tenta il colpo a Verona ma si concentra su Padova, dove l’uscente Sergio Giordani è insidiato dall’ex presidente della locale Confindustria Francesco Peghin, con qualche smottamento sul fianco sinistro. Tenere Padova (e tenerla bene, con un risultato convincente, magari già al primo turno) è la precondizione per tentare l’assalto il prossimo anno a Treviso e Vicenza e, di lì, provare a costruire un’alternativa credibile a Zaia alle Regionali del 2025, quando il presidentissimo non si potrà più ripresentare. In chiusa, i Cinque Stelle. In Veneto non hanno mai attecchito ma a queste Comunali sono proprio evaporati: presentano un solo candidato sindaco su 86 Comuni al voto e il loro simbolo si trova sulla scheda soltanto a Padova e Mirano. Spariti pure in luoghi iconici per l’epopea pentastellata come Mira e Sarego, danno l’impressione di essere alla disperata ricerca di un autore, dopo la scomparsa di Casaleggio e il ritiro di Grillo. La trama allestita da Conte, metà dentro e metà fuori l’esecutivo Draghi, non convince. Così è dura trovare interpreti, figuriamoci gli applausi.