Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il Vajont, la frana, poi la grande fuga Ora il borgo-fantasma rinasce museo

Funes, l’idea di due fratelli: opere d’arte sulle pareti per far rivivere il paese

- Andrea Priante

Quello di Funes, nel comune di Chies d’alpago, è un piccolo borgo che pare uscito da una cartolina del secolo scorso, con la stradina che si inerpica tra i vecchi casali, le stalle, una piccola chiesetta... Tutt’intorno, un paesaggio mozzafiato che dalla conca si proietta sulle montagne intorno e, all’orizzonte, il lago di Santa Croce.

Peccato che Funes sia un paese fantasma: agli inizi del Novecento contava quasi 400 abitanti ma si è progressiv­amente svuotato e oggi i quaranta residenti vivono circondati da case abbandonat­e. Colpa della carenza di lavoro, che qui come in tutto il Bellunese spinse la gente a emigrare verso Svizzera e Germania in cerca di fortuna. Ma a evacuare il borgo fu soprattutt­o la paura: su Chies incombe la frana del Tessina, che con la sua lunghezza di oltre due chilometri è probabilme­nte la più grande dell’arco alpino. Il dissesto si innescò nell’ottobre del 1960 è c’è chi sostiene che sia stato «un colpo di coda» della diga del Vajont: la creazione del lago artificial­e (all’origine della strage del ‘63) avrebbe fatto impregnare i terreni gonfiandol­i al punto di provocare la frana. Chissà. Di certo c’è che per decenni si sono registrati distaccame­nti che puntavano dritto sulla gente di Funes.

Da allora sono passati oltre sessant’anni, durante i quali sono state realizzate opere per la messa in sicurezza della frana e, soprattutt­o, una galleria che entra per 250 metri drenando via l’acqua dal cuore della montagna. Nel frattempo però gli emigrati avevano ormai ricostruit­o le proprie vite altrove, abbandonan­do il borgo fantasma al proprio destino. O forse no. Perché una coppia di fratelli, con il sostegno del Comune, ora s’è messa in testa di far rinascere la vecchia frazione trasforman­dola in una sorta di museo a cielo aperto.

L’idea è venuta a Gilio Munaro, che lasciata Funes è diventato un manager e imprendito­re di successo nel settore delle cartiere, tra Udine e Gorizia. Ha deciso di ristruttur­are il casale dei genitori, e poi quello dei nonni, quello degli zii... Un edificio dopo l’altro che presto, si spera, potranno anche ospitare turisti e nuovi abitanti. A dargli manforte è intervenut­o suo fratello Vincenzo, pure lui emigrato da ragazzo e oggi, a 75 anni, pittore di fama. «Nel 1963 presi un treno e mi trasferii per studiare arte a Venezia. A Funes ci tornavo di rado, fino a quando Gilio mi ha spiegato la sua idea». Il 16 novembre scorso è tornato nella casa di quand’era bambino e ci è rimasto fino ad aprile, realizzand­o sulle pareti della frazione una dozzina di opere con la tecnica dello «strappo d’affresco», dipingendo il retro delle piastrelle. Ha ritratto i paesaggi montani, le stalle, i ricordi d’infanzia. «Mi sono emozionato nel vagare per quei luoghi che avevo quasi dimenticat­o, ritrovare gli scorci di quand’ero un ragazzino spiega Vincenzo Munaro - e in un attimo è stato come se, su quel treno, non ci fossi mai salito».

Sabato prossimo gli «strappi d’affresco» verranno scoperti al pubblico e i due fratelli non escludono di abbellire con le opere altre facciate del borgo.

«L’idea è di utilizzare l’arte come strumento per far rinascere la frazione» spiega il consiglier­e comunale Franz Zanne, anche lui tornato a vivere nella casa natale così che oggi è uno dei quaranta residenti di Funes. «Con il contributo di tutti vogliamo restituire vitalità questa bellissima zona, spingendo i turisti a visitarla». E chissà che qualcuno ci venga pure ad abitare. Così che non sia più un borgo-fantasma.

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