Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
SERVONO BRAVI GIURISTI
La notizia della stroncatura dei candidati all’ultimo concorso di magistratura ha attraversato il dibattito nazionale. Bocciato il 95% dei candidati. La notizia è di quelle che travalicano l’ambito degli addetti ai lavori della giustizia. Sì, perché la motivazione che è passata nelle cronache è di quelle che fanno scalpore: i laureati non conoscevano (adeguatamente?) la lingua italiana. Si è detto che neppure sapessero andare a caporiga. Ecco allora che il dibattito ha preso una traiettoria diversa, coinvolgendo l’ambito della scuola e, in generale, della formazione.
La vicenda offre lo spunto per chiedersi se la formazione che un tempo si riteneva tra le più classiche – la sempre rispettata laurea in giurisprudenza – rappresenti ancora una dorsale importante della nostra società. Le si guardi con le lenti di Gramsci o di Croce, le «classi dirigenti» (espressione oggi urticante) che hanno segnato il Novecento venivano in larga parte da una formazione giuridica. Il quadro era chiaro: professioni forensi, uomini delle istituzioni, ruoli apicali dell’economia; perfino Gianni Agnelli utilizzava il titolo di avvocato, e lo divenne anzi per antonomasia.
Oggi cosa resta di quel mondo? L’università di Padova celebra i suoi ottocento anni dalla nascita e dagli studi giuridici di quell’ateneo sono uscite, dal dopoguerra a oggi, tante figure eminenti di un territorio che ha sempre avuto un gran bisogno di esprimere leadership.
Erano figure in grado di incidere sull’immaginario della comunità di riferimento, per competenze tecniche e per carisma personale: si pensi ad Alberto Trabucchi, solo per fare un esempio. Poche e sparse macerie rimangono di quell’assetto valoriale; era un assetto fatto – se si vuole – di un’etica aristocratica, che contemplava un ruolo specifico per gli «ottimati»: oneri e onori riconosciuti a chi poteva dire e dare di più nella società. Altri tempi. Oggi una gigantesca macchina della normalizzazione sembra aver appiattito tutto ciò. Cosa se ne può ricavare per il futuro? Forse ci si deve persuadere che c’è bisogno di meno laureati in giurisprudenza, però servono in gamba. Ben addestrati, capaci di scrivere una sentenza correttamente argomentata, meglio se senza errori di ortografia. A loro si chiede di saper accompagnare lo sviluppo di un’azienda, magari anche all’estero, di gestire in modo efficiente un contenzioso e tante altre cose nient’affatto banali. Vanno pagati, non sottopagati. Ci si aspetta, inoltre, che siano un poco attrezzati di cultura generale. Se gli ultimi dati raccontano di un Nordest che non spicca il volo, non sarà forse da chiedersi se c’è ancora bisogno di giuristi? S’intende lasciare tutto il campo alle famigerate STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), oppure sarà il caso di pensare a una nuova valorizzazione di quelle antiche figure?