Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Lui aveva lasciato le cure da tempo Che colpa abbiamo se è diventato killer?»
VICENZA «Certo che ti possono imbrogliare, se uno vuole e ne ha gli strumenti, ti inganna». Imbrogliato il tribunale, imbrogliata l’usl 8 e imbrogliato anche lui naturalmente, lui e l’intera associazione di recupero dei violenti di cui è presidente – la Ares di Bassano – corresponsabile, dicono ora, di avere «psicologicamente sdoganato» Zlatan Vasilievic, noto picchiatore di donne, consentendogli di tornare libero cittadino e finire il lavoro che aveva cominciato, uccidere l’ex moglie e l’ex fidanzata.
Il professor Brian Vanzo è reduce di un incontro in questura a Vicenza. Il bosniaco era in cura da lui, o meglio lo è stato, per un anno intero, il periodo previsto per i soggetti autori di violenza domestica. «Il colloquio con il questore era programmato da tempo» assicura il professore quasi volesse allontanare l’ombra dell’attualità, ma la ricerca delle responsabilità impazza e le domande sul quanto e sul cosa si poteva fare prima e non si e fatto è diventata la ricerca di un capro espiatorio.
«Non rilasciamo patenti di normalità, non garantiamo il comportamento futuro di nessuno - dice mentre s’incammina verso piazza dei Signori dove l’attende la manifestazione di solidarietà con le vittime -. Sta a vedere che adesso se la prendono con noi». Il colloquio con il questore non deve essere stato idilliaco. L’esperto della violenza maschile si ferma di botto e spara lui la domanda: «Allora, cosa dice la gente? Dice che andava ammazzato prima? Che certe persone vanno rinchiuse e le chiavi buttate via? Ma gli uomini non sono materiale da discarica».
Brian Vanzo non ha previsto che Zlatan Vasiljevic era un assassino potenziale e che aveva il cuore di tenebra. Non poteva farlo. Leggere il futuro è roba da fattucchiere, individuare il demonio che si annida in una mente non è affar suo. Meglio la teologia allora che con l’indicibile è più in confidenza della psicologia. Brian Vanzo è laureato in entrambe le discipline eppure non ha risposte: ha avuto in cura – se cura si può chiamare il mestiere di sondare il pozzo nero di una coscienza – lo stragista di donne. Se si è sbagliato Vanzo si sono sbagliati tutti, anche chi, in questura, non ha impedito a questo alcolizzato ex miliziano della ex Jugoslavia di portarsi in Italia tutto l’arsenale, bombe comprese. Al tempo in cui gli hanno perquisito la casa gli avevano trovato solo una scacciacani.
Qualcosa da rimproverarsi?
«Quando accadono cose del genere mettiamo sotto analisi tutto il lavoro fatto, falle, conclusioni, diagnosi, follow up, tutto. Però, come dice lei, non siamo fattucchiere e non possiamo leggere il futuro. Io qui non le dirò nemmeno se quel particolare soggetto fosse seguito da noi oppure no. Io sono solo un esperto».
E un teologo. Può essere d’aiuto?
«Se la teologia è quella cosa che pone domande radicali sull’umano, sì, si può dire che l’animo è un abisso nel cuore dell’uomo che solo la relazione può riempire. Ma nel caso specifico la relazione è completamente deflagrata, il soggetto ha perso ogni riferimento, ha smarrito ogni orizzonte e ha continuato a considerare la donna come un oggetto».
Cosa che fa di un innamorato un assassino. Come è potuto accadere?
«Quasi sempre è la mancanza di coraggio, l’incapacità di accettare l’altro, la frustrazione che viene dal non saper cogliere la bellezza dell’incontro con la libertà, compresa la bellezza del rifiuto che è il motivo per il quale si può cominciare una nuova crescita, il rifiuto di una donna non è necessariamente l’innesco di una distruzione».
C’entrano qualcosa in questa catena di femminicidi le cattive condizioni di sicurezza economica e l’incertezza del futuro?
«Tutto ciò che mette a repentaglio la stabilità, l’armonia e la sicurezza attiva potenzialmente percorsi di violenza, specialmente nel maschile dove la riposta non è la capacità di leggere la propria paura e lascia il posto alla tentazione di una reazione violenta. Il diniego della paura porta all’aggressività».
Cosa si può fare ancora per prevenire che non si sia ancora fatto?
«Quello che è accaduto e che accade interroga
” Vanno prolungati i periodi di accompagnamento di chi viene assistito da noi
sopratutto la società e la politica, noi con la Regione Veneto stiamo lavorando perché ci sia un follow up e un accompagnamento a più lungo termine».
Il bosniaco ha fatto un anno di accompagnamento e, alla fine, ve lo siete trovato da tutt’altra parte.
«Quel tizio aveva lasciato le cure da un anno e mezzo. In un anno e mezzo chiunque può diventare chi non pensava di essere. Stiamo chiedendo alle autorità di prolungare l’accompagnamento dei soggetti a rischio».
Si può imbrogliare tutti una volta, si può imbrogliare uno tutte le volte, ma non si può imbrogliare tutti tutte le volte. Lo disse Kennedy mi pare.
«Sì, il rischio è di sistema ed è sempre presente. Noi chiediamo l’estensione oltre l’anno di accompagnamento previsto, un tempo che consenta una revisione successiva e la conferma dei traguardi raggiunti. In quanto alla possibilità che accada, sì è la possibilità che corriamo nel nostro lavoro che è collettivo tuttavia e non si base sull’apporto di una sola persona. Uno degli antidoti come ho detto è il tempo, continuare l’assistenza, non fermarsi alle prime evidenze, assicurarsi fino in fondo dell’assunzione di responsabilità che il reo deve fare su se stesso assieme alla consapevolezza che ha sbagliato e la capacità di riconoscerlo in modo credibile. E poi vanno usati gli strumenti legislativi che ci sono, che permettono di cogliere i differenziali rispetto le situazioni precedenti. Va detto che Zlatan aveva problemi di alcol».