Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Mai così tante civiche alle comunali «Colpa di partiti sempre più deboli»
Elezioni, dominio delle liste «local». Il politologo Feltrin: ma la scelta è calata sempre dall’alto
VENEZIA L’estate della politica arriva al giorno della verità: dopo un mese di caldissima campagna elettorale, domani si vota in 86 Comuni veneti, con gli occhi puntati sui tre capoluoghi. Verona, dove ieri si è tenuta la festa di chiusura della campagna elettorale di Damiano Tommasi, volto del centrosinistra, contro il centrodestra diviso tra Flavio Tosi e Federico Sboarina. Padova, in cui gli opposti schieramenti piazzano Francesco Peghin e Sergio Giordani insidiati da altri sette candidati. E Belluno, dove la poltrona di sindaco è contesa da Giuseppe Vignato, Lucia Olivotto e Oscar De Pellegrin.
Un mese di fatiche, volantini e manifesti, incontri e dibattiti, di bandiere e big dei partiti in missione speciale, fra sorrisi forzati e abbracci fiduciosi. Ma mai come quest’anno la campagna elettorale è stata segnata dal trionfo delle civiche, vere e mascherate che siano. Di 318 liste che si presentano ai cittadini sulle schede, 174 sono civiche pure che corrono da sole; i partiti sono visibili solo in 75. Altro dato essenziale: nei capoluoghi solo un candidato è tesserato, gli altri 17 per ora lasciano nel cassetto la bandiera. Funziona così, quando l’astensionismo rischia di essere di nuovo il primo partito: sui manifesti spesso il simbolo partitico accanto al candidato sindaco latita, quando non è piccolo e nascosto, è addirittura assente. Guai a dire che «il partito non tira più»: la politica attiva non condivide e ribadisce il proprio incarico di leadership nelle squadre elettorali. Ma il fenomeno degli esponenti della società civile, inizialmente concentrato nei Comuni di minori dimensioni, con l’ingresso di prepotenza nelle grandi città dice altro. La lettura immediata, sostenuta anche dai dirigenti di partito, è che l’imprenditore, lo sportivo o il manager possono aggregare in modo più facile e immediato sigle e simboli, non appartenendo a nessuno e appartenendo quindi a tutti. Poi però c’è la seconda lettura: il partito oggi ha meno appeal e, quando al voto ci sono i Comuni, diventa perfino un rischio da evitare. Quindi, mancando il «fuoriclasse» fra le mura di casa, si guarda fuori. E l’ago pende sul fascino senza divisa.
«La spiegazione è semplice – rileva il politologo Paolo Feltrin -. L’unico modo per mobilitare gli elettori e fare campagna è puntare sulle persone, su candidati e liste civiche per camuffare la debolezza strutturale dei partiti. Se fossero forti, non ce ne sarebbe così tanto bisogno».
«Non c’è una dicotomia fra civici e politici – rileva Alberto Stefani (Lega) -. Ci sono figure di altissimo livello che rappresentano un valore aggiunto e un amalgama per riunire attorno a sé la coalizione e contenitori civici». Luca De Carlo (Fdi) assicura che «non è una ritirata, i partiti ci mettono la faccia tutti i giorni e sono il collante delle coalizioni». Per il Dem Andrea Martella «nei Comuni è necessario essere il più possibile vicino ai cittadini, costruendo candidature che siano espressione di una coalizione ampia, da soli non si va da nessuna parte».
Ma Feltrin avverte: «I candidati sono sempre scelti dall’alto in maniera consapevole dai partiti. Guai a fare i finti ingenui. La sfida è sempre centrodestra contro centrosinistra, il resto sono giustificazioni». Feltrin non contesta il massiccio uso di civiche: «Ma sono una risposta a ciò che abbiamo a disposizione. Una civica consente di avvicinare anche elettori di altri schieramenti senza “tradire” il partito di appartenenza o “ammettere” una conversione. Sono trasferimenti di voti che non impegnano troppo la coscienza dell’elettore».