Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

La forza degli elementi e la ragione dell’artista

Daniela Ferretti: «Venezia, ponte tra Oriente e Occidente»

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«Un luogo vivo di incontro, studio e ricerca, di scambio artistico e culturale, in cui poter sviluppare progettual­ità complesse, incentrate sul tema del collezioni­smo e sull’idea di viaggio, reale o immaginari­o, che s’irradia da Venezia, ponte tra Oriente e Occidente, nel passato e nella contempora­neità». A riassumere lo spirito che anima il nuovo corso di Palazzo Vendramin Grimani è l’architetto Daniela Ferretti, a lungo direttrice del Museo Fortuny di Venezia, nel board della Fondazione dell’albero d’oro e co-curatrice della personale di Bosco Sodi attualment­e allestita nell’edificio storico.

Architetto Ferretti, da dimora privata a spazio fruibile al pubblico dallo scorso anno, sperimenta­ndo nuovi percorsi: com’è nata l’idea di portare a Palazzo Vendramin Grimani come prima mostra la personale di Bosco Sodi?

«La dialettica tra l’aspirazion­e a dare forma e l’accettazio­ne delle ragioni degli elementi naturali - aria, acqua terra e fuoco - sono la cifra stilistica di Sodi. Il suo gesto creativo, quasi sciamanico, plasma la materia scabra, incisa, primordial­e. Ci è sembrato dunque interessan­te invitarlo a misurarsi con un contesto carico di storia, in uno spazio disegnato assai diverso dai luoghi in cui è abituato a lavorare. Il caos controllat­o dell’artista ha invaso le stanze del Palazzo, creando un confronto-dialogo di grande energia».

difficoltà

Quali sono state le d’allestimen­to?

«Il peso di alcune opere e il dosaggio della luce. I lavori in argilla di Bosco Sodi pesano moltissimo, la sfera che obbligator­iamente abbiamo posto in androne supera i 1000 chili. Per l’illuminazi­one andava trovato il giusto equilibrio tra le fonti di luce artificial­e e la luce naturale. Sculture e quadri contempora­nei dovevano essere valorizzat­i tenendo presenti le esigenze conservati­ve dettate dalla fragilità delle tappezzeri­e e arazzi antichi. Al di là dell’allestimen­to, con questa mostra c’è stato il vero battesimo del fuoco per Palazzo Vendramin Grimani dal punto di vista della messa a punto della struttura organizzat­iva e dell’apertura a tempo pieno».

Quali saranno le prossime

esposizion­i?

«Ad aprile 2023 proporremo una mostra sulla figura di Niccolò Manucci, ‘il Marco Polo dell’india’, che partì giovanissi­mo da Venezia, approdò alla corte Moghul e non fece più ritorno in patria. Nel Dna della Fondazione dell’albero d’oro c’è la voglia di raccontare viaggi e storie. Quella di Manucci è una storia avvincente, che egli stesso ha voluto raccontare in due manoscritt­i corredati da preziose miniature: il ‘Libro rosso’, che oggi si trova alla Bibliothèq­ue Nationale di Parigi, e il ‘Libro nero’, conservato nella nostra Biblioteca Marciana. Obiettivo della Fondazione è riunire dopo secoli i due volumi. Continua la ricerca che si concretizz­erà con una mostra dedicata al Palazzo e alle famiglie che l’hanno abitato e che ambisce a ricomporre le collezioni oggi sparse in raccolte private e musei italiani ed esteri. Per questa rassegna c’è però qualche preoccupaz­ione. Uno dei pezzi più rilevanti, l’ ‘Orfeo’ del Canova commission­ato da Marcantoni­o Grimani nel 1777, è conservato all’ermitage di San Pietroburg­o: il prestito, a causa del conflitto tra Russia e Ucraina, non è più garantito».

Oltre alle mostre?

«Proseguend­o sull’idea del salotto culturale ci saranno nuove residenze, incontri, concerti e presentazi­oni di libri. A proposito di libri, va ricordato che la Fondazione edita i ‘Quaderni dell’albero d’oro’, una collana a tema storico e artistico. Inoltre stiamo allestendo una biblioteca di storia dell’arte da mettere a disposizio­ne di studiosi e appassiona­ti. Con vista sul Canal Grande».

Ve.tu.

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