Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Sant’antonio, sessantamila in festa Il rettore: «Ritorno alla normalità»
Il vescovo Cipolla invoca la pace in Ucraina: «Stop agli interessi di parte, sia fatta giustizia»
PADOVA Un «battesimo», un ritorno e in mezzo l’invocazione alla pace in Ucraina, alla necessità di «camminare insieme, dimenticando gli interessi personali e perseguendo il bene e la giustizia». Sono le parole chiave dell’edizione 2022 della festa di Sant’antonio, patrono di Padova. La prima per il nuovo rettore della Basilica, padre Antonio Ramina, appunto al suo «battesimo di fuoco» per dirla con le parole del delegato pontificio, monsignor Fabio Dal Cin, ma anche quella del ritorno alla processione per le vie del centro storico, dopo i due anni di stop imposti dalla pandemia.
Nel 2020 la reliquia del Santo aveva sorvolato la città su un elicottero e l’anno scorso la statua di Antonio di solito protagonista della processione aveva invece viaggiato tra Padova, Venezia e la Riviera del Brenta. Ieri si è tornati alla tradizione, con un mare colorato di oltre ventimila fedeli e pellegrini provenienti da tutto il mondo in corteo, a cornice delle 60mila persone contate in Basilica dal 30 maggio, nel corso della Tredicina del Santo, dei 40mila passaggi nella cappella delle reliquie e del milione di utenti collegati sui Social per la diretta delle messe e della processione finale.
«E’ molto emozionante rivivere la normalità, finalmente possiamo respirare uniti il clima di festa — ha detto padre Ramina —. Mai come adesso la normalità è un bene prezioso. Vedere la Basilica gremita già alle 5.30 del mattino, al momento dell’apertura, ci fa vivere la coralità di un popolo che si riunisce nel nome del Santo. L’auspicio è che si possa recuperare la pace, partendo dalle nostre famiglie e dalle nostre comunità, e che questa onda di bene possa toccare i cuori di chi ha in mano le sorti dei popoli, dell’ucraina e di tante zone della Terra desiderose di tregua». La giornata di festa non ha infatti mai tolto gli occhi dalla guerra in Ucraina. «Sono tre i ceri che dovremmo accedere simbolicamente a Sant’antonio, come fossero tre grandi preghiere — ha scandito il vescovo, monsignor Claudio Cipolla, nell’omelia della messa pontificale —. Il primo cero è per la guerra in Ucraina e in Russia. Siamo tutti sconvolti dalle immagini alle quali assistiamo e dal rischio di abituarci a vederle e di cominciare a considerare il dramma in atto come uno degli eventi della vita da accettare. Non possiamo permettercelo, la pace è il dono più grande per l’umanità e alla preoccupazione per il conflitto, i morti e le disgrazie correlate si aggiungono le conseguenze a livello mondiale. Ricadono anche sul nostro Paese, ma il loro effetto si aggrava quando infieriscono sui Paesi più poveri — ha ammonito il prelato — lì la guerra diventa fame, impossibilità di accedere alle cure sanitarie di base. Significa bloccare lo sviluppo del mondo. Il secondo cero che vorrei accendere riguarda il camminare insieme, nella stessa direzione, il terzo interessa tutti noi. Ogni volta che vengo in Basilica il 13 giugno molte persone si avvicinano e mi chiedono di pregare per il figlio malato di tumore, per la figlia che si sta separando dal marito, per chi ha perso il lavoro — ha concluso monsignor Cipolla, applaudito, salutato, fotografato da migliaia di mani —. Ci sono tanti drammi nelle nostre vite, nelle nostre case, nelle comunità. Il popolo che si raduna accanto a Sant’antonio è un popolo fatto di povera gente, lo dico come complimento, che chiede l’intercessione del Santo perché i propri drammi sembrano senza via d’uscita. E allora invochiamo Antonio perché converta al bene i nostri cuori, che pensano solo a se stessi, affinché perseguano l’amore, la giustizia e la pace, abbandonando gli interessi personali».