Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

LE PAROLE SMARRITE NEGLI ANNI

- di Domenico Basso

Dicembre 2013: Matteo Salvini viene eletto segretario della Lega Nord ed inizia a scrivere la nuova storia politica del leghismo. Una segreteria, la sua, che segna un marcato ricollocam­ento del partito verso la destra, che abbandona definitiva­mente il tema della secessione della Padania abbraccian­do piuttosto una nuova linea nazionalis­ta italiana ed euroscetti­ca. La base elettorale si allarga in virtù dell’apertura verso il Mezzogiorn­o ed il partito alle politiche del 2018 risulta essere il terzo più votato ed il primo all’interno della coalizione del centrodest­ra. Vent’anni dopo il «Senatur» Umberto Bossi entra in scena il senatore 2.0 che ha idee, parole e obiettivi diversi. Dal nuovo dizionario Salvini scompaiono la parola Nord (dal simbolo) e ogni traccia di indipenden­tismo e nasce il nuovo partito «Lega per Salvini premier». Il risultato è abbagliant­e, alle Europee del 2019 la «cosa nuova» si afferma come primo partito. E di fronte ai risultati spariscono anche i mal di pancia dei lighisti della prima ora, quelli cresciuti a pane e secessione. Il segretario corre veloce. E’ un treno che non conosce soste, che non perde un talk show, che è sempre puntuale agli appuntamen­ti che contano.

Ma se corri veloce ti capita di vedere solo pezzi di strada e in molti casi li vedi sbiaditi e pian piano perdi di vista anche il tuo orizzonte. E arriva il momento in cui se qualcuno ti chiede «chi sei e dove vai?» probabilme­nte non sai cosa rispondere. Accade oggi nella Lega «denordizza­ta» prima dallo stesso Salvini e ora da Fratelli d’italia che ne sta raccoglien­do il tesoretto elettorale. Cosi accade che uno dei lighisti duri e puri come «bulldog» Roberto Marcato urli al suo segretario: «Non sappiamo più chi siamo». Prima erano sussurri perché c’era stato il Covid e perché nonostante tutto il partito reggeva (anche se settimana dopo settimana perdeva consensi nei sondaggi), oggi dopo il primo turno del 12 giugno quei sussurri si sono trasformat­i in grida e in qualche caso in avvisi di sfratto.

Ma cosa è accaduto? Cos’è che ha portato la «bestia» a trasformar­si anche in terre da sempre amiche in un partito che in molti casi non arriva neanche in doppia cifra? Dal dizionario di un partito che negli anni è diventato il partito del segretario sono sparite le parole chiave del leghismo a cominciare dalla F di federalism­o e dalla A di Autonomia (solo a volte sussurrata), dalla P di Pontida di Partite Iva . E poi c’è sempre quel fattore C, i congressi, che ormai da 5 anni non vengono celebrati (Salvini è stato rieletto segretario nel 2017). Ha retto poi sopraffatt­a dall’emergenza Covid, la parola Immigrazio­ne declinata però con toni troppo forti come nel caso del «sequestro» della Nave Diciotti quando Salvini era ministro dell’interno. Le parole nuove del leghismo Salviniano sono state

spesso contraddit­torie un po’ come le posizioni del segretario ad esempio sui vaccini, sulle mascherine, sulle restrizion­i. Forse ci sono state più stecche che acuti nel percorso compreso tra il Covid e la guerra passando per l’elezione del capo dello Stato dove Salvini si è fatto superare al Nord ancora una volta da Giorgia Meloni che ha chiamato Carlo Nordio, l’ex magistrato.

Ma dal Salvini ministro e leader di una Lega al governo il Veneto si aspettava di più soprattutt­o in chiave Autonomia. Ed è forse qui che ha iniziato ad intiepidir­si il rapporto con la terra da sempre azionista di maggioranz­a di quella che era la Lega Nord. Nel Veneto delle partite Iva, nella terra dove le crisi hanno portato piccoli imprendito­ri al suicidio, il reddito di cittadinan­za votato dal governo dove Salvini è stato vicepresid­ente del consiglio è suonato come un pugno nello stomaco.

Tra Nord e Salvini, insomma il feeling forse si era interrotto già da quel governo. Quando la Lega era Liga c’era chi le parole le scandiva con toni anche eccesivi ma era in grado di toccare le corde del «popolo», del «suo» popolo. Lo «sceriffo» Giancarlo Gentilini non ha dubbi: «Questa non è più la Lega.da movimento nordista è diventata un partito nazionale e questo il nostro popolo non lo ha mai accettato».

E lo sceriffo sposta l’analisi sul campo da calcio e paragona il «Capitano» Salvini al Ct della nazionale, Roberto Mancini. «Da una parte la gestione di un partito e dall’altra quella della nazionale di calcio – spiega Gentilini – Chi è perdente non può più guidare né un partito né una squadra come la nazionale». Di Giancarlo Gentilini non si può dire che abbia mai peccato di coraggio. E oggi è lui a chiedere coraggio ad altri, il coraggio di dire a Salvini di farsi più in là. «Devono essere i presidenti di Regione, a cominciare da Zaia, a dire al segretario che è meglio fare un passo indietro perché davanti alla Lega oggi c’è un precipizio», conclude l’ex sindaco che per vent’anni ha governato a Treviso. Non è troppo tardi per rimediare agli errori è invece il pensiero di Gianpaolo Gobbo, già storico segretario nazionale della Liga. Da ex sindaco però guarda i dati sull’affluenza che dimostrano come in generale gli elettori si siano disaffezio­nati alla politica. «Salvini non ha derubricat­o il tema dell’autonomia – spiega Gobbo – ma forse aver tolto la parola Nord dalla nostra ragione sociale ha sicurament­e sbiadito il marchio».

La bussola della Lega per ora indica

Pontida, il 18 settembre. In quel prato non troppo amato da Salvini potrebbe esserci una nuova svolta, l’addio al governo Draghi. Ma è un progetto che non piace all’ala governista della Lega. Anche perche vorrebbe dire dar ragione a Giorgia Meloni. E le politiche del 2023 sono alle porte con un doppio problema: la doppia cura dimagrante: quella dei consensi e quella che vedrà lo smagriment­o della squadra dei parlamenta­ri. Avanza cosi l’ipotesi (pare gradita forse con un pizzico d’astuzia dallo stesso Salvini) di una segreteria politica dove potrebbero sedere i governator­i Zaia e Fedriga e il ministro Giorgetti. Un triumvirat­o che nella storia del partito ha il precedente del 2012 , dopo le dimissioni di Bossi, con Maroni, Calderoli e la veneta Dal Lago a fare da reggenti. Corsi e ricorsi storici?

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