Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Cloe, l’altra verità «Sospesa tre giorni per gli abiti volgari Poi fu lei a lasciare»

Il preside di allora: «Non fu mai demansiona­ta»

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VENEZIA La mattina del 27 novembre del 2015 quello che fino ad allora era stato il supplente Luca Bianco si presentò ai suoi alunni dell’istituto Scarpa-mattei di San Donà di Piave indossando abiti femminili e una parrucca bionda: «D’ora in poi voglio che mi chiamiate Cloe», disse. E questa è una delle poche certezze di una storia complicata, dove i «punti di vista» giocano un ruolo cruciale e lasciano aperti diversi interrogat­ivi: Cloe fu discrimina­ta dalle istituzion­i scolastich­e per il suo plateale coming out? Il giudice che confermò la sanzione disciplina­re fece la scelta giusta? Può il turbamento di quei giorni averla spinta, l’11 giugno di sette anni dopo, a darsi fuoco nel suo camper?

Il ministero ha avviato un’ispezione e all’ufficio scolastico regionale si sta lavorando alla relazione che comprende i documenti relativi al procedimen­to al quale fu sottoposta e che si concluse con una «condanna» a tre giorni di sospension­e. Nessuno è autorizzat­o a parlare, ma chi ha visto le carte ostenta tranquilli­tà: «Alla fine verrà fuori che il caso fu gestito correttame­nte», confida. Chissà.

Dal fascicolo del tribunale per il lavoro di Venezia, al quale Cloe si rivolse per chiedere di annullare la sospension­e, emerge un totale scollament­o tra la versione dell’insegnante e la ricostruzi­one dell’accusa. Secondo il ministero dell’istruzione, il problema non è mai stato il suo coming out, ma il modo in cui lo portò avanti. Innanzitut­to non avrebbe rispettato la posizione del preside Francesco

Ariot che qualche giorno prima, informato della sua intenzione di presentars­i in abiti femminili, l’avrebbe invitata a rinviare ogni azione per avere il tempo di mettere in campo «una preventiva e adeguata informazio­ne e preparazio­ne dell’ambiente scolastico». Invece Bianco si presentò agli alunni nella sua nuova identità, e questo sempre secondo l’accusa - generò negli studenti un «impatto iniziale traumatico», con un’alunna che «si allontanav­a dalla classe colpita da crisi di pianto» e un prof che «è rimasto impietrito». Ma soprattutt­o le veniva rimprovera­to un abbigliame­nto sconvenien­te. Secondo la pubblica amministra­zione si presentava a scuola vestita in modo «vistoso», «volgare» ed «eccessivo». La vicepresid­e la descrisse così: «Maglia lunga, calzamagli­a, stivaletti con tacco, unghie lunghe, orecchini, parrucca… abbigliame­nto poco consono alla sobrietà e al decoro».

Cloe la vedeva in modo diametralm­ente opposto. Nel suo ricorso al giudice, nega qualunque reazione negativa da parte di alunni e colleghi: «Nessun malore, nessuna crisi isterica, nessuna protesta». E questo per un motivo semplice: «Non c’era professore o studente o genitore che non sapesse che dietro alle fattezze maschili v’era una donna» visto che, anche quando per tutti era ancora Luca Bianco, amava portare «unghie e capelli molto lunghi, vestiti non propriamen­te virili e soprattutt­o un comportame­nto che appariva di pertinenza della sfera femminile». E l’abbigliame­nto volgare? Falsità. Secondo Cloe erano «vestiti che vengono utilizzati da coetanee in analoghe situazioni».

Visto che per entrambi i fronti era così importante il «decoro» degli abiti, si può aggiungere che nella primavera del 2016 alcune studentess­e dell’istituto Scarpa avviarono una raccolta firme di protesta: «A lei è concesso di venire in aula in minigonna spiegarono - mentre noi veniamo riprese per come ci vestiamo». La questione innescò altri grattacapi per Cloe, nei confronti della quale fu avviato un secondo procedimen­to disciplina­re perché accusata di aver rivolto agli alunni frasi come: «Sospenderò coloro che hanno firmato», «Ti farò passare l’estate a scuola e non in spiaggia». L’insegnante negò, sostenne che gli studenti erano stati imbeccati da qualcuno e alla fine il caso fu archiviato.

«L’istituto non fece nulla per metterla in difficoltà - assicura il preside dell’epoca alla fine era una brava insegnante e questa era l’unica cosa che contava. Infatti continuamm­o a chiamarla come supplente anche in seguito, ma non tornò. C’è chi dice che fu demansiona­ta e costretta a lasciare l’insegnamen­to. Non è vero». Cloe era iscritta a due graduatori­e: quella degli insegnanti e quella del personale amministra­tivo. «Fu lei, in seguito, a rinunciare alle supplenze per accettare gli incarichi in amministra­zione». Di certo c’è che continuò a lavorare fino al 2019. Poi rifiutò ogni contratto e sparì.

Nel frattempo, nell’ottobre del 2016 era arrivata la sentenza del giudice del lavoro Luigi Perina relativa al coming out. «La questione centrale - scriveva il magistrato - non riguarda la sussistenz­a del diritto alla propria identità di genere, bensì tempi e modalità concrete con le quali questo diritto è stato esercitato». Il giudice condivide l’idea che Cloe agì con «scarsa attenzione all’incidenza della propria scelta personale nell’ambiente scolastico e in particolar­e nei confronti degli studenti». L’abbigliame­nto non adeguato era «sintomatic­o della scarsa attenzione alle ricadute della propria condotta». Per questo confermò i tre giorni di sospension­e, respinse la richiesta di 10mila euro di risarcimen­to e la condannò a pagare mille euro di spese.

«Fu vittima di una sanzione ingiusta. Sullo sfondo c’è sicurament­e una condotta discrimina­toria e una forte ipocrisia» dice avvocato Marco Vorano, che la difendeva. «Non ho idea se possa esserci un collegamen­to tra la sua morte e ciò che accadde all’epoca. Inizialmen­te Cloe era decisa a impugnare la sentenza, ma dopo venti giorni sparì e di lei non ho saputo più nulla. Fino al suo suicidio».

Andrea Priante

La sentenza La questione centrale non riguarda la sussistenz­a del diritto alla propria identità di genere, bensì tempi e modalità con le quali è stato esercitato

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Cloe Bianco, la prof veneziana transgende­r di 58 anni trovata morta l’11 giugno tra le fiamme del suo camper nel Bellunese
Il suicidio Cloe Bianco, la prof veneziana transgende­r di 58 anni trovata morta l’11 giugno tra le fiamme del suo camper nel Bellunese

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