Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Siamo tutti Cloe

- Di Francesco Chiamulera

Si fa presto a dire «siamo tutti Cloe». Siamo tutti la prof transgende­r che si è data fuoco nel suo camper nei boschi tra Auronzo e Misurina. Siamo tutti Luca Bianco, come si chiamava nel 2015, quando aveva varcato la soglia dell’aula dell’istituto di Agraria «Scarpa-mattei» di San Donà nel quale insegnava, in abiti femminili, annunciand­o: d’ora in poi chiamatemi Cloe. Siamo tutti la vittima che ha lasciato parole grandi e lancinanti sul suo blog, «subito dopo la pubblicazi­one di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiat­o con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderl­a con lo stesso stile. Qui finisce tutto». Si fa presto a dire «siamo tutti Cloe», ora che vorremmo andare tra quegli alberi a dire come questa storia ci riguardi. Più difficile dire che siamo anche tutti gli altri. Il suo tormento, le ragioni profonde e ultime del suicidio, sono totalmente sue, totalmente private. Ma tutto quel che è successo prima no. E diciamolo, noi siamo anche le chat dei genitori che su Whatsapp ogni giorno propagano le più bieche superstizi­oni contro il «gender» (che non esiste) appena qualche decente professore tratta con gli alunni un tema che essi conoscono benissimo, e che hanno già superato. Siamo i genitori ipersuscet­tibili che si preoccupan­o delle reazioni «dei nostri ragazzi» di fronte a un uomo vestito da donna prima che di altri gesti quotidiani realmente e continuame­nte violenti. Siamo le mamme e i papà sempre pronti a scrivere mail indignate alla signora preside e al signor professore per dire come devono comportars­i con i propri figli. Siamo la scuola debole che si precipita a sospendere una docente. Siamo il Ministero che la mette nella riserva indiana della segreteria: via dalle aule! Siamo il politico che ne approfitta per tweet e post indignati. Siamo la giustizia che a volte fa la progressis­ta, ma che poi rivela il suo volto antico, paternalis­ta e pedagogico: un outing in così breve tempo, senza preparare adeguatame­nte le scolaresch­e, «non è responsabi­le e corretto», si legge nella sentenza del tribunale del lavoro su Cloe. Siamo i giornali che nel mesto clickbaiti­ng sparano la notizia pensando a quanti contatti porterà. E siamo, infine, l’ordinario circo di iene che produrrà nel caso migliore la battuta da osteria, in quello peggiore l’invettiva violenta. Insomma siamo sempliceme­nte noi. A ben pensarci, forse non meritiamo proprio di dire che noi siamo Cloe.

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