Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Siamo tutti Cloe
Si fa presto a dire «siamo tutti Cloe». Siamo tutti la prof transgender che si è data fuoco nel suo camper nei boschi tra Auronzo e Misurina. Siamo tutti Luca Bianco, come si chiamava nel 2015, quando aveva varcato la soglia dell’aula dell’istituto di Agraria «Scarpa-mattei» di San Donà nel quale insegnava, in abiti femminili, annunciando: d’ora in poi chiamatemi Cloe. Siamo tutti la vittima che ha lasciato parole grandi e lancinanti sul suo blog, «subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto». Si fa presto a dire «siamo tutti Cloe», ora che vorremmo andare tra quegli alberi a dire come questa storia ci riguardi. Più difficile dire che siamo anche tutti gli altri. Il suo tormento, le ragioni profonde e ultime del suicidio, sono totalmente sue, totalmente private. Ma tutto quel che è successo prima no. E diciamolo, noi siamo anche le chat dei genitori che su Whatsapp ogni giorno propagano le più bieche superstizioni contro il «gender» (che non esiste) appena qualche decente professore tratta con gli alunni un tema che essi conoscono benissimo, e che hanno già superato. Siamo i genitori ipersuscettibili che si preoccupano delle reazioni «dei nostri ragazzi» di fronte a un uomo vestito da donna prima che di altri gesti quotidiani realmente e continuamente violenti. Siamo le mamme e i papà sempre pronti a scrivere mail indignate alla signora preside e al signor professore per dire come devono comportarsi con i propri figli. Siamo la scuola debole che si precipita a sospendere una docente. Siamo il Ministero che la mette nella riserva indiana della segreteria: via dalle aule! Siamo il politico che ne approfitta per tweet e post indignati. Siamo la giustizia che a volte fa la progressista, ma che poi rivela il suo volto antico, paternalista e pedagogico: un outing in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche, «non è responsabile e corretto», si legge nella sentenza del tribunale del lavoro su Cloe. Siamo i giornali che nel mesto clickbaiting sparano la notizia pensando a quanti contatti porterà. E siamo, infine, l’ordinario circo di iene che produrrà nel caso migliore la battuta da osteria, in quello peggiore l’invettiva violenta. Insomma siamo semplicemente noi. A ben pensarci, forse non meritiamo proprio di dire che noi siamo Cloe.