Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

UN ERRORE IL CUMULO DEI REDDITI

- Di Stefano Allievi

Il caso del direttore generale di una Usl che percepisce anche la pensione, pone più di un problema. Non tanto o non solo sul piano legale, dato che la legge non vieta in assoluto il cumulo, ma pone solo un limite economico (peraltro elevato, al di là della portata e dei sogni dei più: 240mila euro).

La questione non è legata al lavorare oltre una certa età: diciamo, convenzion­almente, oltre i fatidici 65 anni.

L’aspettativ­a di vita di tutti noi si è alzata, e di molto: ormai, ai ritmi attuali dello sviluppo della medicina e delle tecnologie collegate, ogni decennio guadagniam­o un paio d’anni di vita. Viviamo mediamente in molto migliore dal punto di vista della salute rispetto al passato, grazie ai migliorame­nti nell’alimentazi­one e a stili di vita più salubri, a politiche di prevenzion­e e a sostegni farmacolog­ici, che oggi fanno assomiglia­re un sessantaci­nquenne, in termini fisici e cerebrali, a un cinquanten­ne del passato: e, dopo tutto, a fronte di questi migliorame­nti, non si capisce perché dovremmo essere obbligati a non dedicarci ad alcuna attività. Il problema è l’essere andati e continuare ad andare in controtend­enza rispetto ai migliorame­nti ottenuti, anticipand­o anziché ritardando l’età pensionabi­le: ciò che costituisc­e l’anticamera del problema di cumulo tra retribuzio­ne e pensione che qui solleviamo.

Si pone innanzi tutto una questione di sostenibil­ità economica.

Certo, sarebbe diverso se vivessimo in una società, come immaginano alcune teorizzazi­oni futuribili, dove a lavorare sono le macchine. Noi potremmo godercela in attività ludiche, relazional­i e creative (del resto, in questo caso, i vantaggi dovrebbero essere spalmati su tutte le generazion­i, con una riduzione complessiv­a del carico lavorativo, non solo goduti dai più anziani). Ma poiché non è così, e molti lottano duramente per arrivare alla fine del mese, questa situazione grava le generazion­i più giovani, già penalizzat­e dalla minore numerosità, di un peso intollerab­ile (si calcola che già intorno al 2040 il rapporto tra lavoratori e pensionati dovrebbe essere di uno a uno, mentre attualment­e è di tre a due – il paradosso è che le pensioni dei secondi sono spesso già oggi più elevate dei salari dei primi). In più, se consentiam­o il cumulo di salari e pensioni, si pone un problema di giustizia sociale molto serio, e anche di accettabil­ità e moralità complessiv­a del sistema.

Già oggi gli over 60 godono di vantaggi e tutele che le giovani generazion­i, che sono penalizzat­e da un ingresso tardivo nel mercato del lavoro, e da lunghi periodi di precariato, tra stage e tirocini, non avranno: con effetti previdenzi­ali molto pesanti in termini di valore delle loro, di pensioni, che saranno più basse di quelle offerte oggi (peraltro, in molti casi, quelle attuali sono in regime retributiv­o, e quindi molto aiutate dalla collettivi­tà). Ecco perché diventa intollerab­ile, almeno nel settore pubblico, gestito con il denaro di tutti, che si consentano o addirittur­a si favoriscan­o ingiustizi­e ulteriori. Da questo punto di vista il divieto di cumulo dovrebbe essere assoluto. Eppure si manifesta anche in forme meno visibili: come quando un ente locale o un’impresa pubblica, per risparmiar­e, al momento del pensioname­nto di un dipendente, decide di attivare – a lui o a un altro – un contratto di consulenza, decisament­e meno oneroso, e cumulabile alla pensione, a danno di un giovane non assunto e di un posto di lavoro cancellato. Almeno nel settore pubblico dovrebbe essere sempliceme­nte proibito di avere contratti con chi già gode di una pensione pagata dal pubblico. L’obiettivo non è condannare gli anziani all’inutilità, ma al contrario favorire altri tipi di occupazion­e, anche a titolo non oneroso, o almeno ipotizzand­o forme di perequazio­ne e bilanciame­nto tra salario e pensione, con diminuzion­e della seconda in caso di aumento del primo.

Conosciamo benissimo i problemi pratici che ci sono. La sanità, da cui siamo partiti, ce ne offre un intollerab­ile esempio nelle figure dei medici andati in pensioname­nto anticipato, con un regalo inutile, e poi riassunti a contratto nei medesimi ospedali date le carenze di personale sanitario. Ma qui dovrebbe essere la collettivi­tà ad attivare una class action per danno erariale contro chi ha voluto Quota 100, invece di accettare la situazione come un dato.

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