Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Giovane suicida in ospedale prescritta l’accusa al medico
Il ragazzo non fu posto in psichiatria né sorvegliato
Nessun condannato e nessun assolto per il suicidio di Davide Piovan di Stanghella (Padova), pasticcere che a 21 anni tolse la vita gettandosi nel vuoto dall’ultimo piano dell’ospedale di Rovigo e morì sul pavimento della tromba delle scale il 5 aprile 2016. Il reato di omicidio colposo è andato in prescrizione nel processo aperto al tribunale di Rovigo. Delle sette persone imputate dal sostituto procuratore Maria Giulia Rizzo nel 2020 l’unica finita a giudizio di fronte al giudice monocratico fu Viviana Fusco, 40 anni, all’epoca dei fatti medico al dipartimento salute mentale all’ospedale di Rovigo.
Davide Piovan fu ricoverato il giorno prima del suicidio perché alla guida di un’auto andò a sbattere a volontariamente contro un guard-rail in tangenziale, poco distante dall’ospedale di Rovigo, e dichiarò di averlo fatto proprio per togliersi la vita. Secondo l’accusa il personale dell’ospedale avrebbe dovuto disporre l’immediato ricovero in psichiatria e organizzare un servizio di vigilanza sul paziente. Il giovane pasticcere il 5 aprile di 8 anni fa era con la madre quando è uscito dalla stanza dicendo che voleva andare in bagno ma non è più tornato.
Davide Piovan aveva studiato all’istituto alberghiero Cipriani di Adria, era specializzato in pasticceria. Era stato in Belgio, dopo il diploma, ad approfondire le tecniche e poi anche a Parma in un’accademia di settore. Era una persona ossessionata dalla perfezione. Aveva in animo di iscriversi alla facoltà di chimica proprio per approfondire gli aspetti scientifici della pasticceria e della cucina in generale.
All’udienza di ieri il giudice Sara Zen ha emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputata per intervenuta prescrizione.
Di fatto ha accolto la richiesta della pubblica accusa, rappresentata nell’occasione dal vice procuratore onorario Alessia Pirani e gli avvocati che difendevano l’imputata non hanno rinunciato quindi il giudice, verificato che la prescrizione era effettivamente intervenuta, ha emesso la sentenza.
Il procedimento civile promosso parallelamente dal padre è invece già arrivato ad una sentenza di secondo grado che gli riconosce un risarcimento di 220 mila euro.