Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

CONSIGLIO SENZA VISIONE

- Di Stefano Allievi

Acosa serve il consiglio regionale? La domanda non è irrilevant­e per il futuro del Veneto. Siamo solo all’inizio della legislatur­a, ma alcune tendenze già si vedono: e non sono tutte tranquilli­zzanti. Il confronto con la legislatur­a precedente ci offre qualche valutazion­e positiva. Mentre il consiglio precedente brillava per assenza anche fisica (lavorava poco, oltre che male), quello attuale invece lavora, addirittur­a riunendosi più di una volta a settimana (una cosa mai vista, in Veneto). E questo va bene: ma per discutere di cosa? E qui cominciano i problemi. Da un lato il consiglio si prodiga su mozioni e ordini del giorno: cose che servono per far vedere che ci si è, non che si fa qualcosa. Specie se si scelgono temi per i quali le istituzion­i regionali non hanno alcuna competenza: dal diritto alla legittima difesa dei cittadini alla solidariet­à alla nazione catalana, dalle misure contro la pedofilia in internet e le ideologizz­azioni sul gender, alle Olimpiadi di Roma. Tutte cose su cui la Regione non può fare nulla, e quindi costa poco rivendicar­le. Oppure c’è il rischio di un pavido ecumenismo trasversal­e, di maggioranz­a e opposizion­e, per non prendere decisioni difficili: come nel caso del referendum sulle trivellazi­oni nell’Adriatico, che rischia di far perdere un’occasione storica all’Italia, lasciando che i giacimenti di gas e petrolio in mezzo al mare, che potremmo immaginare come un bicchiere di energia, vengano bevuti tutti dalla cannuccia già attivata dalla Croazia, prosciugan­do il bicchiere prima che l’Italia ci metta la sua, di cannuccia.

Dall’altro il consiglio si attiva, legittimam­ente, sulle richieste dalla giunta: l’approvazio­ne di quanto Zaia vuole, in sostanza – che può contare, stavolta, su una maggioranz­a blindata. Il che va bene, in termini di produttivi­tà. Ma rischia di ridurre il consiglio a un ruolo più da schiaccia bottoni, che da interprete della volontà popolare: e che rischia di far diventare Palazzo Ferro Fini il semplice braccio (o il dito sul pulsante) di Palazzo Balbi, anziché assumere il ruolo che gli è proprio di decantazio­ne e confronto delle varie sensibilit­à della volontà popolare. Ed è proprio questo che manca: la politica, intesa come riflession­e sul futuro e come assunzione di decisioni strategich­e, e non di mera amministra­zione e gestione delle risorse. Il governo regionale, giustament­e, governa (per inciso, curiosamen­te: su tutto tranne che sui suoi cavalli di battaglia elettorale, dall’immigrazio­ne all’identità veneta alla sicurezza). L’assemblea degli eletti dovrebbe pensare strategica­mente la regione, dando orientamen­ti generali e linee guida al governo, immaginand­one la programmaz­ione futura. E questo non succede. Citiamo alcuni temi cruciali: la legge sul consumo del suolo, l’uso del territorio, l’ambiente (che va dal piano cave a quello faunistico-venatorio ad altro ancora). L’economia del turismo e della bellezza, la valorizzaz­ione culturale. Lo sviluppo dell’istruzione, il problema dell’innovazion­e e della ricerca: in una regione che ha un tasso di laureati inferiore alla media nazionale, che parla del Politecnic­o senza farlo, non mette in rete le università e in cui Veneto Innovazion­e e Veneto Nanotech muoiono. Il problema serio, non agitato strumental­mente, dell’immigrazio­ne, incrociato con il calo demografic­o e i bisogni produttivi, da pensare nell’orizzonte delle generazion­i, non delle prossime elezioni. Il problema delle trasformaz­ioni istituzion­ali e delle città metropolit­ane, delle unioni dei comuni e delle aree vaste. E, a questo proposito, un’ultima consideraz­ione: politiciss­ima. Il Veneto è stata l’ultima regione a presentare il piano di riordino delle province, annunciand­o peraltro ricorso al consiglio di stato: così come ha fatto ricorso sulla buona scuola. Il risultato è che, per un gioco di opposizion­e politica al governo, il Veneto si oppone a tutti gli sforzi riformator­i nazionali: con l’effetto di apparire conservato­re e di marginaliz­zare il Veneto come regione rispetto all’Italia. I rappresent­anti del popolo non hanno nulla da dire in proposito?

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