Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Boschi: «Il Pd si rialzi Il Carroccio veneto? È succube di Milano»
I dem a Praglia con il ministro per studiare la ripresa Il segretario De Menech: «Io avanti fino a febbraio»
TEOLO (PADOVA) Ora et labora. Se non è una regola monastica, quella a cui i democratici veneti vogliono ascriversi dopo la batosta delle regionali 2015, e nei giorni in cui imperversa la polemica sui contributi alla campagna elettorale di Alessandra Moretti, poco ci manca. Il luogo, in un sabato veneto, è perfetto: l’Abbazia di Praglia, dieci chilometri da Padova, ai piedi dei Colli, dove da centinaia di anni ci si esercita nel contemperare riflessione, preghiera e lavoro comunitario. E dove trecento dirigenti e quadri del Pd si danno appuntamento, da mattina a sera, per provare a darsi delle risposte. Ma soprattutto per rivolgere la grande domanda – perché? – a Maria Elena Boschi, Ministro per le riforme, venuta qui apposta dalle Marche e pronta a ripartire in serata per Roma. Gli echi, nelle corti tappezzate di verde dell’abbazia, mentre i monaci scivolano silenziosi (ma armeggiando sullo smartphone) e giovani dirigenti telefonano con la mano che copre il labiale, sono un po’ da Gargonza, il castello toscano dove Letta – e Prodi prima di lui – chiamò la leadership del centrosinistra alla riflessione. «Possiamo vincere ancora, coraggio. Una sconfitta non è mai definitiva», apre Boschi, e pare di sentire il detto, ‘non c’è notte così lunga da impedire a un nuovo giorno di nascere...’. «Zaia? Le scelte per il Veneto le hanno fatte da Milano», osserva Boschi. «Salvini è un’alternativa molto forte, è vero, ma la candidatura alle regionali 2015 non è stata decisa in Veneto. Proprio i leghisti che parlano tanto di autonomia...». Pochi secondi e si capisce che Boschi, qui, a Praglia, è un antidepressivo, dopo gli onesti autodafé che l’hanno preceduta: c’è molta parte del Pd Veneto, da Achille Variati a Ivo Rossi, da Pierpaolo Baretta a Giampiero Dalla Zuanna. Parlano in successione, uno accanto all’altro - per sottolineare continuità e corresponsabilità - gli ultimi tre segretari regionali Roger De Menech, Rosanna Filippin e Paolo Giaretta. «Abbiamo un problema strutturale», ragiona l’ex senatore, «semplice ma drammatico: il nostro rapporto con la società veneta è troppo fragile. La nostra identità è incerta, gli elettori veneti non capiscono che bestia siamo», prosegue Giaretta. «E fino ad ora il mondo renziano veneto è stato troppo divisivo e rancoroso, troppo attento a collocarsi nelle gerarchie romane. Ma in un partito non conti se hai il numero di telefono di un ministro o di un sottosegretario, ma se hai lavorato sul territorio». Alessandra Moretti ha seguito l’intervento in piedi, dalle prime file. Accanto a Boschi. Appena arrivata, pochi minuti prima, l’ex candidata alle regionali aveva «sequestrato» allegramente la Ministra alle attenzioni dei dirigenti veneti: «Fermi tutti, devo fare un selfie con Maria Elena!». Ma ora è il momento del saio. Rosanna Filippin, che succedette a Giaretta: «Anche io assistetti a una sconfitta dolorosa, nel 2010. Rispetto ad allora, almeno, abbiamo perso l’approccio pedagogico, quel dire ‘sono i veneti che non capiscono niente, che non ci meritano’. Ma a parte questo, i nostri problemi restano». De Menech, segretario dimissionario: «È dal ‘95 che perdiamo. Le abbiamo provate tutte: il candidato civico, quello politico, l’imprenditore... Detto questo, la sconfitta stavolta è stata bruciante. Ma almeno abbiamo dato prova di voler vincere. E il prossimo congresso di febbraio non è il fine, ma un mezzo per cambiare», avverte. Variati, Sindaco di Vicenza: «Abbiamo perso perché avevamo troppi lavori in corso. Stavamo rifacendo la strada. Ora bisogna finirli, quei lavori. E bisogna, Maria Elena, mettere mano al patto di stabilità, perché i comuni veneti sono virtuosi». Tocca a lei, Ministro e al tempo stesso reale luogotenente del potere renziano, provare a sciogliere il senso di colpa dei responsabili regionali: «Abbiamo vinto e perso tutti insieme. In Veneto vale la pena di riprovarci: il 37 per cento delle Europee 2014 fu un risultato che non ci aspettavamo. Sarà fondamentale quanto in fretta ci si rialzerà. Stiamo riportando l’Italia ad essere terra di opportunità», spiega, con toni fiabeschi, «e lo facciamo con una valigia piena di sogni». I democratici veneti non devono temere, dice Boschi, «ma nemmeno il partito deve chiudersi in sé stesso. Deve cercare di associare le persone, aprire bene le finestre perché l’aria cambi. So che avete in programma il congresso regionale: l’importante è che si parli di idee, non di rapporti tra le persone. E soprattutto, che quando sarà finito, lo sia per davvero. Si discute negli spogliatoi, ma in campo si va come una sola squadra. In bocca al lupo». Applausi. Fuori il cielo di Praglia è grigio, gli spazi ampi e solenni del monastero invitano al passeggio. Qui si viene per camminare, pensare, ancora camminare. La strada da percorrere, i democratici lo sanno, è lunga.
Fino ad ora il mondo renziano veneto è stato troppo diviso Variati La sconfitta? Avevamo troppi lavori in corso