Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Bolasco, dall’incuria alla bellezza. Rivive il parco romantico
Dopo decenni di incuria tornano in vita il giardino all’inglese e la villa ottocentesca nel cuore di Castelfranco. Un recupero voluto dall’ateneo di Padova. Diventerà centro di studio e valorizzazione dei parchi antichi
Torna a nuova vita il complesso Revedin-Bolasco, a Castelfranco, nel Trevigiano, che contiene uno dei più bei parchi romantici d’Italia. Ha fine un lungo periodo di incuria. Ora diventerà un centro per il restauro e la valorizzazione dei parchi antichi, voluto dall’università di Padova.
Un parco romantico tra i più belli d’Italia, sicuramente del Veneto, nonostante gli «appena» nove ettari di superficie, che torna all’originario splendore. Una villa ottocentesca, con interni affrescati dal coneglianese Giacomo Casa, che, senza il restauro completato in questi mesi, sarebbe poco più che un rudere a perenne rischio di tracollo. Con poco più di cinque milioni di (benedetti) fondi europei, l’università di Padova, supportata nel percorso dall’amministrazione di Castelfranco, con l’allora assessore Giancarlo Saran, ha strappato a decenni di incuria e dato nuova vita al complesso Revedin-Bolasco. Qui, nel cuore della piccola città di Giorgione, sta per nascere il Centro per il restauro, il recupero e la valorizzazione dei parchi storici e degli alberi monumentali voluto dal Bo, testa di ponte sul territorio del prezioso orto botanico di Padova, con cui lavorerà in sinergia. «Possiamo paragonare parco Bolasco a un piccolo Stowe», dice Paolo Semenzato, uno dei docenti del Bo che ha seguito la rinascita di questo ground zero storico e ambientale. Il settecentesco Stowe, Buckinghamshire, Inghilterra, è nome per esperti. Soprattutto, però, è uno dei più famosi giardini paesaggistici del mondo, considerato un «nodo» nella storia del giardino. In una parola: bellezza, perché di questo alla fine si tratta. Bellezza perduta e ritrovata; e storia che diventa pista di lancio per iniziative aperte al futuro.
Eccolo, il futuro. Lo spiega Giuseppe Zaccaria, rettore uscente dell’ateneo padovano (ieri, al varo castellano, c’era anche il successore, Rosario Rizzuto): «Qui nascerà un centro che avrà nel parco il suo primo laboratorio all’aperto e nella villa la sede operativa e i laboratori sperimentali». Bolasco ospiterà attività di ricerca, divulgazione ed educazione ambientale. Gli obiettivi sono tanti. Acquisire conoscenze approfondite sul paesaggio per sviluppare progetti di educazione green; promuovere la tutela del valore anche storico delle piante e dei luoghi che a quelle fanno da dimora; ricordare quanto sia importante conservare il loro patrimonio genetico «antico»; infine approfondire gli studi, ancora lacunosi, su perché e quando gli alberi si spezzino o si sradichino.
Il presente, il varo di ieri, è anche la fine di una storia travagliata, fatta di incuria, dimenticanze, annunci disattesi e patti rispettati a metà. Il complesso Bolasco sorge su antiche proprietà dei nobili Morosini, passate nel XVI secolo agli Avogadro. La villa del presente e il verde che la circonda risalgono alle metà dell’Ottocento. Padri del progetto sono i fratelli Antonio e Francesco Revedin, subentrati nella proprietà ai Corner Giustinian. L’università diventa padrona del Bolasco nel 1976: Renata Mazza, vedova Bolasco, dona tutto a Padova, come voleva il marito scomparso. Negli anni Ottanta, la villa dovrebbe diventare sede distaccata della facoltà di Odontoiatria. È lasciata a se stessa da anni, mentre il parco, senza manutenzione, è «abitato» da fricchettoni locali. Odontoiatria, ovviamente, non si fa. Si arriva così al 1989, alla convenzione tra Comune e Università: parco alla municipalità per 99 anni, idem per la villa ma arco trentennale. Al Comune gli oneri del caso e gli investimenti per portare lì il locale conservatorio: anche stavolta un trattino sul nulla.
Tutto è bene quel che finisce bene, allora. Per Castelfranco e i castellani, che speravano di riavere il giardino aperto a tutti se non altro nei fine settimana, magari di più nelle belle stagioni, c’è però una notizia uggiosa. «Lo dico senza polemica - la riflessione del rettore - ma secondo me questo non può essere un parco pubblico. La natura del bene impone un certo tipo di fruizione, perché è prezioso e insieme delicato». Zaccaria ci vede eventi comunque legati alla natura culturale del luogo, che ospita appunto un centro universitario, per cui «concerti, una summer school, spazio ai dottorati di ricerca e alla convegnistica internazionale...». Per jogging tra ombre romantiche, letture tra fresche frasche e passeggiate più o meno romantiche ripassare più avanti. C’è da trattare, si tratterà.