Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La sfida continua «Vegliare sulle frane»
U n veneto su venticinque è bellunese, ma sette frane su dieci, in questa regione, hanno luogo nella provincia di Belluno. Parte da qui, da un dato che dice più di mille raffigurazioni oleografiche sulla «montagna assassina» o sul «territorio dimenticato», il cinquantaduesimo anniversario della tragedia del Vajont, che ricorre oggi e che è stato ricordato ieri da un convegno, a Longarone, sul dissesto idrogeologico e la prevenzione, voluto dal Comune e dai Vigili del Fuoco. Cinquantadue anni fa una immensa frana si staccò dal Monte Toc, al confine tra Veneto e Friuli, precipitando nell’invaso della diga e sollevando una massa d’acqua che spazzò via, nella notte, gran parte dei paesi di Longarone, Codissago, Erto e altre frazioni, uccidendo quasi duemila persone.
Un anno significativo, il 2015, per ricordare la tragedia (umana e industriale) di allora: a San Vito, Cortina, Borca e Vodo di Cadore il conto tra riparazione dei danni delle frane estive e messa in sicurezza del territorio dovrebbe superare i cinquanta milioni di Euro, ma il Veneto deve ragionare anche con le devastazioni subite dalla riviera del Brenta dopo il tornado. «Gli studi che abbiamo a disposizione dicono che per mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale ci vogliono quaranta miliardi. Una cifra ingente, certo. Ma lo Stato ne ha incassati nel 2013 quarantatré solo per la tassa sulla casa», riflette Fabio Bonfà, vicepresidente nazionale degli ingegneri. «E se pensassimo a una tassa di scopo che da sola preverrebbe la gran parte dei disastri?» L’ultimo capitolo di spesa nella finanziaria per la prevenzione del rischio idrogeologico, riferisce Bonfà, non supera il miliardo e trecento milioni: «Risorse non sufficienti. Bisogna fare qualche rotatoria in meno e qualche opera in più».
A mettere ordine nella consueta foresta di leggi italiana si sta dedicando in questi mesi il Governo con il disegno di legge che porta il nome della democratica Chiara Braga. Ma mentre attende di capirne meglio i contenuti e i decreti attuativi, l’assessore regionale alla protezione civile Gianpaolo Bottacin pensa ai disastri tutti veneti accaduti in questi mesi: «il Piano d’Alpaos, di mitigazione del rischio, comporta opere per circa tre miliardi di Euro. Una cifra grande, ma che corrisponde grosso modo alla spesa per i danni meteorologici subiti in questi ultimi dieci anni».
A distanza di oltre cinquant’anni dal Vajont forse la buona notizia è che quasi nessuno si arrischia più a parlare di «imprevedibilità della natura», di «tragica fatalità», a proporre metafore romantiche (come fecero illustri scrittori), o a scrivere, come fece Giorgio Bocca: «si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani: tutto è stato fatto dalla natura».
Nel 2015, però, colpiscono forse sopra a tutto il resto le trasformazioni del meteo intervenute in mezzo secolo. Le cronache della tragedia di quella notte del 1963 raccontano del cielo stellato del Vajont, la fresca aria autunnale attraversata dall’onda. Oggi, a Longarone, 473 metri sul livello del mare, nel pomeriggio di metà ottobre pioviggina e ci sono venti gradi.