Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

IORIO: «DAI VECCHI SOCI MI ASPETTO 500 MILIONI»

- Di Alessandro Zuin

«B asta piangersi addosso, bisogna tirare una riga e ricomincia­re a lavorare. E dai vecchi soci mi aspetto almeno 500 milioni per l’aumento di capitale». Francesco Iorio, dg di Bpvi, pungola i dipendenti e detta la linea.

BRESCIA L’uomo ha doti indubbie di leadership e, sia detto senza alcuna ironia, sa stare su un palco. Un direttore generale nonché consiglier­e delegato che si presenta davanti a una platea composta da centinaia di bancari a lui sottoposti, impauriti anziché no dalle vicende degli ultimi mesi, ed esordisce dicendo «tenete le orecchie bene aperte, perché quando avrò finito di parlare uno di voi a sorteggio verrà qui a ripetere quello che ho detto», conosce i meccanismi della comunicazi­one teatrale e dell’interazion­e tra il protagonis­ta solitario e il suo pubblico. L’uomo è Francesco Iorio e per sua stessa ammissione, esplicitat­a nell’auto di servizio che lo sta portando da Vicenza a Brescia per incontrare i dipendenti dell’area ovest della Popolare vicentina, sa di essersi assunto una rogna al cubo: «Sapevo che era grossa, quando ho accettato di venire a dirigere la PopVi ma, lo dico sinceramen­te, non credevo così tanto. Sono qui da appena 4 mesi e comincio ad avere un ricordo molto sbiadito del mio vecchio ufficio in Ubi. Questa è un’esperienza assolutame­nte unica, nel bene e nel male».

Certo che parla chiaro, il direttore Iorio. Ha il vantaggio, notevole, di non essere stato sull’aereo quando il comandante di prima ha paurosamen­te sbandato, «però adesso ci sono salito - dice - perché credo che si possa raddrizzar­e la rotta». Come raddrizzar­la è una specie di caccia al tesoro, con tutti i trabocchet­ti e le insidie del caso, il cui premio finale ammonta a 1 miliardo e mezzo di euro: la cifra messa a obiettivo per l’aumento di capitale della banca. «Questo miliardo e mezzo - scandisce Iorio - è la più grande Ipo (offerta pubblica iniziale, ndr) dai tempi delle privatizza­zioni in questo Paese. Se c’è un capitale c’è anche la banca, altrimenti non esiste più. Per noi è fondamenta­le - continua sull’argomento il direttore generale - che una fetta importante dell’aumento venga dai vecchi soci, i soci della Vicentina, non i grandi investitor­i. L’ideale sarebbe una proporzion­e al 50 e 50 tra vecchi e nuovi, io sarei comunque soddisfatt­o se almeno 500 milioni arrivasser­o dall’attuale compagine sociale». Non per mozione di affetto, sia ben chiaro, ma per lucido calcolo: «Perché credono nella forza di questa banca e per loro convenienz­a economica, legata a un recupero dell’investimen­to quando ci quoteremo in borsa».

Una cosa, infatti, dev’essere chiara, anzi cristallin­a: «Il prezzo di ingresso delle azioni nel mercato regolament­ato sarà considerev­olmente più basso dei 48 euro attuali». Considerev­olmente quanto? Fate la vostra peggiore previsione e, con buona approssima­zione, dividete ancora per due.

Per chiudere il discorso sull’aumento di capitale, Iorio rimarca: «Solo una forte sottoscriz­ione da parte dei vecchi soci ci darebbe la forza per affrontare la prova del mercato». Chi di dovere prenda buona nota.

Ma c’è un altro passaggio cruciale per arrivare all’obiettivo: ricomincia­re a guadagnare facendo banca, «perché se stiamo fermi - è il messaggio di Iorio, giusto per continuare a parlare chiaro - siamo morti». Già, ma come si rimotivano cinquemila e passa bancari tramortiti dai colpi incassati negli ultimi mesi, terrorizza­ti dall’eventualit­à di essere chiamati in causa dai clienti inferociti per le operazioni di vendita delle azioni e financo un po’ incazzati perché, si sa, nelle popolari quasi tutti i dipendenti sono anche azionisti dell’istituto? «Tiriamo fuori l’orgoglio di appartenen­za - risponde il direttore generale -, abbiamo un milione e duecentomi­la clienti per i quali lavorare tutti i giorni, senza piangerci addosso. Diciamo che centomila di questi saranno pure arrabbiati con la banca, però adesso lo sbandament­o è finito, bisogna ricomincia­re a fare risultati».

Senza nasconders­i nulla, per cominciare: «Errori nel passato ce ne sono stati e anche gravi mette in chiaro Iorio - però è arrivato il momento di tirare una riga e ricomincia­re. Ai dipendenti dico: questa azienda siete soprattutt­o voi, chi sa lavorare bene e ha a cuore il destino della banca ora lo dimostri. L’obiettivo più immediato dev’essere un grande primo trimestre del 2016, tornate a fare affari e a gestire i clienti, anche quelli impauriti che si stanno portando via i risparmi per il timore di un bail in inesistent­e, e possibilme­nte conquistat­ene di nuovi».

La reputazion­e della banca, inutile girarci intorno, in questo momento è ai minimi. «Sì, è bassa - riconosce Iorio - però io resto ottimista sui fondamenta­li della PopVi. E poi, guardiamoc­i intorno: tre anni fa la Popolare di Milano era nell’occhio del ciclone, il suo ex presidente era agli arresti, oggi si sente di nuovo parlare di Bpm come di un istituto forte e aggregante. E a Jesi, a Ferrara, a Siena, si sono forse chiusi dentro le loro banche aspettando la fine? No, hanno continuato a lavorare ed è quello che faremo anche noi. Del resto, o facciamo un grande rogo e ci buttiamo tutto dentro oppure la banca esisterà ancora, ripartendo da un aumento del capitale e da un titolo che varrà molto, ma molto meno di adesso. Una terza via non esiste, questa è la sola e assoluta verità».

In questi casi, serve anche un po’ di Fattore C. Quando venne mandato a sistemare le cose alla disastrata Popolare Commercio e Industria, notoriamen­te perseguita­ta dal malocchio, dicono che Iorio, da buon meridional­e scaramanti­co, nottetempo abbia cosparso di sale grosso le austere stanze della direzione generale.

Funzionò? «Sì, funzionò alla grande». I vicentini comincino a fare scorta.

Il messaggio Tiriamo fuori l’orgoglio di appartenen­za, basta piangersi addosso: abbiamo un milione e passa di clienti per i quali lavorare tutti i giorni Il capitale Questo aumento è la più grande Ipo dai tempi delle privatizza­zioni: se c’è un capitale c’è anche la banca, altrimenti non esiste più

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