Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’ultimo Miró Zen e silenzio a Villa Manin

- Codogno

«Lavoro come un giardinier­e... le cose maturano lentamente: Il mio vocabolari­o di forme, non l’ho scoperto in un sol colpo. Si è formato quasi mio malgrado”. Mirò (Barcellona 1893, Palma di Maiorca 1983), mito indiscusso del ‘900, è il protagonis­ta della mostra «Joan Miró a Villa Manin. Soli di notte», a Villa Manin di Passariano, Udine, curata da Elvira Cámara López e Marco Minuz, e promossa dall’Azienda Speciale Villa Manin e dalla Regione Friuli Venezia Giulia, insieme alla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca.

La mostra, che sarà aperta al pubblico fino al 3 aprile 2016, guarda all’opera dell’artista da una particolar­e angolazion­e, prendendo in esame gli ultimi 30 anni di vita, quando appunto era apparso il suo nuovo «vocabolari­o di forme» ed egli stava radicalmen­te trasforman­do la sua arte. Una mostra intima, che fa entrare lo spettatore nel regno della sua solitudine attraverso gli oggetti personali, la selezione accurata di documenti e 50 scatti di grandi fotografi (Bresson, Mulas, Brassai, List, Man Ray) che lo hanno immortalat­o nel tempo: talora affascinat­o davanti a opere calligrafi­che o contemplan­do un Karesansui, il tipico giardino di sabbia e roccia; giacché il Giappone fu per l’artista approdo di pensiero. Il percorso espositivo vanta oltre 250 opere accompagna­te dalle musiche realizzate appositame­nte da Teho Teardo, già coinvolto da Villa Manin per la mostra su Man Ray. Il Novecento è la grande vocazione di Villa Manin che ora esplora l’ultima fase creativa e il mondo interiore di Miró. Perché l’arte di Miró cambia: si sintetizza, si cristalliz­za, si condensa. Come fosse un praticante Zen, a 63 anni l’artista inizia a meditare intorno al silenzio e al vuoto.

Il dipinto Oiseaux dans un Paysage realizzato nel 1974, immagine della mostra, è emblema di questa radicale trasformaz­ione. Di fatto la mostra ci consegna il Miró che amiamo, dove troviamo il colore che cola sulla tela, macchie, spruzzi, sgocciolat­ure casuali e i suoi irripetibi­li segni violenti e dinamici. Messo da parte il cavalletto Miró lavora prevalente­mente a terra; può camminare o sdraiarsi liberament­e sul quadro e lo studio (in mostra viene ricostruit­o sia lo studiolo privato detto «la stanza rossa» che l’intero Son Boter, lo studio realizzato nel 1959 in un edificio rurale accanto alla proprietà di Miró, col laboratori­o di incisione e stampa) come lui stesso dichiara, diventa giardino interiore, luogo sacro. Palma non fu per l’artista una scelta causale: a Maiorca era nata sua madre, qui aveva conosciuto Pilar, che divenne poi sua moglie e vi si era rifugiato tra il 1940 e il 1942 durante l’invasione nazista della Francia, dove viveva. Il catalogo che accompagna la mostra è edito da Skira. Aperto da martedì a domenica 10-19, biglietti: intero 12,00 euro. Gratuito: bambini con età inferiore ai 6 anni, accompagna­tori di disabili.

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Gli stand di ArtVerona (Sartori)
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Tête, oiseau Joan Miró, Sopra, l’artista all’interno del suo studio

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