Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Galan dovrà risarcire la Regione per danno d’immagine: 5,8 milioni
Scandalo Mose Stangata della Corte dei conti
VENEZIA - Scandalo Mose, nuova tegola per Giancarlo Galan. La Corte dei conti ha condannato l’ex governatore a risarcire 5.8 milioni per il danno all’immagine e il danno da disservizio provocati all’ente per il coinvolgimento nello scandalo Mose.
VENEZIA «Galan, almeno dal 2005 e sino al 2011, ha percepito sotto varie forme, tangenti per orientare l’attività politica e la gestione amministrativa della Regione, illecitamente approfittando della propria qualità di governatore del Veneto e poi dell’influenza politica di cui continuava a godere in quanto ministro e parlamentare, nonché esponente di rilievo del partito di maggioranza del governo della Regione Veneto».
È un passo chiave della sentenza con la quale ieri la Corte dei conti ha condannato Giancarlo Galan a risarcire 5 milioni e 808mila euro. Denaro che, salvo capovolgimenti in appello, finirà nelle casse di Palazzo Balbi. Perché secondo la magistratura contabile, è proprio la Regione la principale vittima del sistema di corruzione che ruotava intorno al Mose e all’ex governatore. Per questo motivo, 5 milioni e 200mila euro serviranno a ripagare «un gravissimo danno all’immagine dell’amministrazione» collegato al «clamore mediatico derivato dai fatti in questione», visto che per mesi i giornali «hanno descritto le condotte delittuose commesse dal Galan, mettendone in evidenza gli aspetti più gravi e disdicevoli, tali da ingenerare ricadute negative sulla valutazione dell’opinione pubblica in ordine all’affidabilità dell’amministrazione da lui governata».
I restanti 608mila euro risarciranno invece il «danno da disservizio», che deriva - si legge nella sentenza - «dalle condotte corruttive di Galan, che ha esercitato la funzione pubblica finalizzandola al perseguimento di benefici economici personali piuttosto che all’interesse pubblico». Ed è proprio da questo comportamento che sarebbe «evidentemente derivato un danno da disservizio alla Regione Veneto». Perché «le tangenti e le altre utilità non venivano corrisposte per ottenere il compimento di specifici atti amministrativi o per evitare i controlli, ma per ottenere un complessivo benevolo trattamento per tutte le attività ascrivibili a un certo gruppo di imprese, sia con riguardo al Mose e ad altri project financing».
Una sentenza che accoglie in pieno la tesi del viceprocuratore Alberto Mingarelli. Giancarlo Galan era un governatore «in vendita». Lo sostiene anche il giudice, quando scrive che «il flusso di denaro pervenuto all’amministratore regionale costituiva il corrispettivo della vendita della sua funzione, messa costantemente al servizio dei corruttori che in tal modo ne avevano acquisito la disponibilità, presente e futura, a soddisfare le rispettive esigenze».
E quanto può costare un governatore? Stando ai conti fatti dal magistrato, sulla base dell’inchiesta condotta dalla procura di Venezia, Galan avrebbe ricevuto «per compiere atti contrari ai suoi doveri: uno stipendio annuale di circa un milione di euro; 900mila euro nel periodo tra il 2007 e il 2008 per il rilascio (...) del parere favorevole sul progetto definitivo del sistema Mose; 900mila euro nel periodo tra il 2006 e il 2007 per il parere favorevole della Commissione Via sui progetti delle scogliere esterne alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia». E poi vanno aggiunti i contributi per le campagne elettorali, il restauro di Villa Rodella, l’intestazione di quote di società al suo prestanome...
La pena patteggiata dall’ex governatore nell’ottobre del 2014, oltre ai 2 anni e dieci mesi di reclusione, prevedeva la confisca di beni per 2,6 milioni di euro. È raddoppiando questa cifra, definita «il prezzo del reato», che la Corte dei conti è arrivata a quantificare il risarcimento del danno d’immagine patito dalla Regione.
Respinte tutte le eccezioni sollevate dalla difesa, secondo la quale il processo andava sospeso in modo da chiamare in causa anche i presunti «complici» dello scandalo Mose, dall’ex assessore Renato Chisso al manager Piergiorgio Baita. Non solo, gli avvocati erano convinti che Galan avesse già risarcito il danno d’immagine «considerato che ha scontato quasi tutta la pena di due anni e dieci mesi in carcere, ha dovuto interrompere ogni rapporto con persone diverse dai suoi familiari e gli è stata confiscata la villa». Insomma, secondo i difensori andavano tenute in considerazione non solo le ripercussioni subite dalla Regione, ma anche le sofferenze patite dall’ex governatore.
I giudici hanno risposto picche. E la procura canta vittoria. «La sentenza ha confermato la solidità del lavoro svolto in fase istruttoria - dice il procuratore regionale Paolo Evangelista - ora puntiamo alle altre persone coinvolte nel caso Mose».
Il giudice Inseguiva benefici economici personali invece che l’interesse pubblico