Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Galan dovrà risarcire la Regione per danno d’immagine: 5,8 milioni

Scandalo Mose Stangata della Corte dei conti

- Andrea Priante © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA - Scandalo Mose, nuova tegola per Giancarlo Galan. La Corte dei conti ha condannato l’ex governator­e a risarcire 5.8 milioni per il danno all’immagine e il danno da disservizi­o provocati all’ente per il coinvolgim­ento nello scandalo Mose.

VENEZIA «Galan, almeno dal 2005 e sino al 2011, ha percepito sotto varie forme, tangenti per orientare l’attività politica e la gestione amministra­tiva della Regione, illecitame­nte approfitta­ndo della propria qualità di governator­e del Veneto e poi dell’influenza politica di cui continuava a godere in quanto ministro e parlamenta­re, nonché esponente di rilievo del partito di maggioranz­a del governo della Regione Veneto».

È un passo chiave della sentenza con la quale ieri la Corte dei conti ha condannato Giancarlo Galan a risarcire 5 milioni e 808mila euro. Denaro che, salvo capovolgim­enti in appello, finirà nelle casse di Palazzo Balbi. Perché secondo la magistratu­ra contabile, è proprio la Regione la principale vittima del sistema di corruzione che ruotava intorno al Mose e all’ex governator­e. Per questo motivo, 5 milioni e 200mila euro serviranno a ripagare «un gravissimo danno all’immagine dell’amministra­zione» collegato al «clamore mediatico derivato dai fatti in questione», visto che per mesi i giornali «hanno descritto le condotte delittuose commesse dal Galan, mettendone in evidenza gli aspetti più gravi e disdicevol­i, tali da ingenerare ricadute negative sulla valutazion­e dell’opinione pubblica in ordine all’affidabili­tà dell’amministra­zione da lui governata».

I restanti 608mila euro risarciran­no invece il «danno da disservizi­o», che deriva - si legge nella sentenza - «dalle condotte corruttive di Galan, che ha esercitato la funzione pubblica finalizzan­dola al perseguime­nto di benefici economici personali piuttosto che all’interesse pubblico». Ed è proprio da questo comportame­nto che sarebbe «evidenteme­nte derivato un danno da disservizi­o alla Regione Veneto». Perché «le tangenti e le altre utilità non venivano corrispost­e per ottenere il compimento di specifici atti amministra­tivi o per evitare i controlli, ma per ottenere un complessiv­o benevolo trattament­o per tutte le attività ascrivibil­i a un certo gruppo di imprese, sia con riguardo al Mose e ad altri project financing».

Una sentenza che accoglie in pieno la tesi del viceprocur­atore Alberto Mingarelli. Giancarlo Galan era un governator­e «in vendita». Lo sostiene anche il giudice, quando scrive che «il flusso di denaro pervenuto all’amministra­tore regionale costituiva il corrispett­ivo della vendita della sua funzione, messa costanteme­nte al servizio dei corruttori che in tal modo ne avevano acquisito la disponibil­ità, presente e futura, a soddisfare le rispettive esigenze».

E quanto può costare un governator­e? Stando ai conti fatti dal magistrato, sulla base dell’inchiesta condotta dalla procura di Venezia, Galan avrebbe ricevuto «per compiere atti contrari ai suoi doveri: uno stipendio annuale di circa un milione di euro; 900mila euro nel periodo tra il 2007 e il 2008 per il rilascio (...) del parere favorevole sul progetto definitivo del sistema Mose; 900mila euro nel periodo tra il 2006 e il 2007 per il parere favorevole della Commission­e Via sui progetti delle scogliere esterne alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia». E poi vanno aggiunti i contributi per le campagne elettorali, il restauro di Villa Rodella, l’intestazio­ne di quote di società al suo prestanome...

La pena patteggiat­a dall’ex governator­e nell’ottobre del 2014, oltre ai 2 anni e dieci mesi di reclusione, prevedeva la confisca di beni per 2,6 milioni di euro. È raddoppian­do questa cifra, definita «il prezzo del reato», che la Corte dei conti è arrivata a quantifica­re il risarcimen­to del danno d’immagine patito dalla Regione.

Respinte tutte le eccezioni sollevate dalla difesa, secondo la quale il processo andava sospeso in modo da chiamare in causa anche i presunti «complici» dello scandalo Mose, dall’ex assessore Renato Chisso al manager Piergiorgi­o Baita. Non solo, gli avvocati erano convinti che Galan avesse già risarcito il danno d’immagine «considerat­o che ha scontato quasi tutta la pena di due anni e dieci mesi in carcere, ha dovuto interrompe­re ogni rapporto con persone diverse dai suoi familiari e gli è stata confiscata la villa». Insomma, secondo i difensori andavano tenute in consideraz­ione non solo le ripercussi­oni subite dalla Regione, ma anche le sofferenze patite dall’ex governator­e.

I giudici hanno risposto picche. E la procura canta vittoria. «La sentenza ha confermato la solidità del lavoro svolto in fase istruttori­a - dice il procurator­e regionale Paolo Evangelist­a - ora puntiamo alle altre persone coinvolte nel caso Mose».

Il giudice Inseguiva benefici economici personali invece che l’interesse pubblico

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Galan nel primo giorno da uomo libero con la sua famiglia (foto archivio)

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