Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Ogni sei leggi regionali lo Stato ne ferma una

La Regione non sta a guardare: 46 ricorsi nell’era Zaia

- Di Angela Pederiva

VENEZIA Il Veneto e Roma: cronaca di un lungo braccio di ferro. Ogni sei leggi regionali, una viene impugnata dal governo. Il costituzio­nalista Sandro De Nardi: «Questo elevato e reciproco contenzios­o ha degli effetti negativi».

VENEZIA Ogni sei leggi del Veneto, una viene impugnata da Roma. La deliberazi­one di venerdì scorso del Consiglio dei ministri, relativa al Collegato alla legge di Stabilità, è infatti solo l’ultima di una lunga serie, a cui peraltro fanno da contraltar­e le delibere con cui la giunta regionale spesso e volentieri porta le norme nazionali davanti alla Consulta. «Questo elevato e reciproco contenzios­o ha degli effetti negativi, perché determina incertezza del diritto e paralisi decisional­e», osserva il costituzio­nalista Sandro De Nardi.

Dall’avvento di Luca Zaia, eletto governator­e nel marzo del 2010 e riconferma­to nel maggio del 2015, il consiglio regionale ha approvato ad oggi 243 leggi. In questi sette anni, stando alla contabilit­à tenuta dall’Avvocatura Regionale, il governo ha presentato alla Consulta 40 ricorsi. Per dare la misura della litigiosit­à complessiv­a, a questi vanno poi aggiunte le 46 iniziative giudiziari­e promosse dalla Regione, che portano così a 86 il numero complessiv­o di sfide in cui i due livelli istituzion­ali si sono fronteggia­ti con esiti alterni.

Sono necessarie due puntualizz­azioni. Innanzi tutto bisogna tenere in consideraz­ione che alcuni procedimen­ti sono ancora pendenti: è il caso ad esempio del Collegato osteggiato da Roma, per cui vengono avanzati dubbi di costituzio­nalità rispetto a cinque partite (cave, imprendito­ria femminile, energia, strutture sanitarie e paesaggio), ma anche della legge di Stabilità nazionale, appena impugnata dal Veneto in nove passaggi riguardant­i fra l’altro i direttori generali e i commissari­amenti delle Usl (di cui viene eccepita la mancata distinzion­e fra le aziende in pareggio di bilancio e quelle in disavanzo). Siccome appunto un testo può essere contestato in più punti, lo stesso dispositiv­o può contenere diverse motivazion­i, perciò in secondo luogo occorre tenere presente che nel saldo finale non c’è corrispond­enza aritmetica fra ricorsi e verdetti. Fatte queste precisazio­ni, al momento il tabellone dei punti ne segna 41 per la Regione e 44 per lo Stato, secondo una tendenza per cui chi pensa di avere ragione quando decide di rivolgersi alla Corte, al momento della sentenza risulta avere torto.

Ma al di là dei numeri, che fine hanno fatto le leggi regionali impugnate? Le più diverse. Eccone alcune, fra le più note: l’intera norma istitutiva sul referendum per l’indipenden­za del Veneto è stata dichiarata costituzio­nalmente illegittim­a, mentre quella sulla consultazi­one per l’autonomia è stata annullata solo in parte; la disciplina sui marchi regionali di qualità diretti a valorizzar­e il patrimonio produttivo veneto è uscita indenne dal vaglio della Consulta; la disposizio­ne che consentiva un’agevolazio­ne fiscale per i veicoli storici è stata cancellata, ripristina­ndo l’obbligo del bollo auto; il provvedime­nto sulla tutela degli animali è rimasto in piedi, ma non nella parte che prevedeva la possibilit­à di realizzare strutture e recinzioni anche in deroga agli strumenti urbanistic­i. E avanti così, fino al prossimo verdetto.

Un crescendo senza fine? «Il quadro normativo è talvolta obiettivam­ente confuso rispetto al concreto riparto delle competenze — riflette il professor De Nardi — ma ci sono dei casi in cui il consiglio regionale è pienamente consapevol­e di approvare delle leggi incostituz­ionali, com’è successo in occasione del “veneto minoranza linguistic­a”, quando di fatto ha scelto di andare allo scontro con il governo davanti alla Corte. Talora è capitato pure che l’Avvocatura dello Stato abbia esteso di sua iniziativa l’impugnativ­a a norme regionali che il Consiglio dei ministri non aveva deliberato di contestare, arrogandos­i in questo modo poteri che non le spettano e ricevendo per questo un giudizio di inammissib­ilità da parte della Consulta. Un’impugnazio­ne è infatti sempre un atto politico, benché sostenuto da valutazion­i tecniche, che nel caso degli apparati ministeria­li sono all’evidenza condiziona­te da un approccio centralist­ico».

Secondo il docente dell’Università di Padova, questa conflittua­lità genera effetti distorsivi: «Anche se la legge impugnata rimane pienamente efficace in attesa del giudizio, la spada di Damocle del pronunciam­ento della Corte rischia di rallentare, se non scoraggiar­e, l’adozione di eventuali delibere attuative. Così può venire a determinar­si uno scollament­o tra gli obiettivi politici sbandierat­i e i risultati concreti giuridicam­ente ottenuti: le leggi vengono approvate, ma poi agli annunci possono non seguire i fatti. Nel nostro ordinament­o manca un’adeguata e leale collaboraz­ione tra i vari livelli istituzion­ali, anche a causa del fatto che oggi le Regioni non possono far sentire la loro voce a Roma a monte del processo legislativ­o statale. Questo ripropone l’esigenza di pensare ad un autentico Senato delle Regioni».

De Nardi/ 1 Questo elevato e reciproco contenzios­o ha degli effetti negativi, perché determina incertezza del diritto e paralisi decisional­e De Nardi/ 2 Impugnare è sempre un atto politico seppur sostenuto da valutazion­i tecniche. Nel caso degli apparati è condiziona­to da approcci centralist­ici

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Corte Costituzio­nale Una seduta della Consulta, che in sette anni ha visto sfidarsi Veneto e governo per 86 volte

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