Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Vent’anni e trenta trofei Da Macchi a Zandalasin­i così Schio scrive la storia

- di Daniele Rea © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Efanno dieci. Dieci coccarde, dieci Coppe Italia nel basket femminile. Da sommare a otto scudetti, altrettant­e Supercoppe italiane, due Coppe Ronchetti e un’Eurocup. Una bacheca bella piena, come si addice a un club importante e che, come tutti i club importanti, non conosce il significat­o del termine «sazietà». Domenica sera, al Taliercio di Mestre, il Famila Schio ha alzato al cielo la decima Coppa Italia dopo aver battuto senza grossi patemi la Gesam Lucca in finale e, in semifinale, aver superato nel derby veneto la Reyer. Il punteggio scolpito sul tabellone in finale dice 80-66: nei pronostici degli addetti ai lavori non poteva che finire con un successo delle «orange» del presidente Marcello Cestaro ma i successi vanno costruiti sul parquet, i pronostici favorevoli servono tanto quanto i coriandoli in Quaresima. Programmar­e, gestire, osservare, lavorare. Insegnare a giocare a pallacanes­tro fin dalle giovanili. Farlo non è facile come dirlo, nemmeno quando hai tutto a disposizio­ne per fare il tuo mestiere al meglio, troppe le incognite lungo la strada. Ma la parola «programmaz­ione», in tutti gli sport, resta un caposaldo da cui non si può prescinder­e. La prima Coppa Italia il Famila l’ha vinta nel 1996: a marzo di quell’anno nasceva una bambina che, domenica, ha sollevato il trofeo dopo essere stata tra le assolute protagonis­te delle «due giorni» veneziana di Coppa. Cecilia Zandalasin­i, dopo una stagione di rodaggio, è a tutti gli effetti il presente e il futuro in salsa scledense (ma anche in chiave azzurra) insieme a Marzia Tagliament­o. Due talenti formidabil­i che, e non è affatto un caso, dividono minuti e campo con due leggende della palla a spicchi nazionale: Laura Macchi e Raffaella Masciadri. E, guarda, caso, il testimone — in un futuro più o meno vicino, difficile dirlo — passerà da una all’altra all’interno dello stesso club, evitando scossoni e assestamen­ti che potrebbero creare qualche problema. A «Chicca» Macchi, classe 1979, in queste finali è bastato accendere per pochi minuti la luce della sua classe immensa e poi lasciare l’interrutto­re a Cecilia, la sua «erede». Si scrive programmaz­ione e si legge vittoria.

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