Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Vent’anni e trenta trofei Da Macchi a Zandalasini così Schio scrive la storia
Efanno dieci. Dieci coccarde, dieci Coppe Italia nel basket femminile. Da sommare a otto scudetti, altrettante Supercoppe italiane, due Coppe Ronchetti e un’Eurocup. Una bacheca bella piena, come si addice a un club importante e che, come tutti i club importanti, non conosce il significato del termine «sazietà». Domenica sera, al Taliercio di Mestre, il Famila Schio ha alzato al cielo la decima Coppa Italia dopo aver battuto senza grossi patemi la Gesam Lucca in finale e, in semifinale, aver superato nel derby veneto la Reyer. Il punteggio scolpito sul tabellone in finale dice 80-66: nei pronostici degli addetti ai lavori non poteva che finire con un successo delle «orange» del presidente Marcello Cestaro ma i successi vanno costruiti sul parquet, i pronostici favorevoli servono tanto quanto i coriandoli in Quaresima. Programmare, gestire, osservare, lavorare. Insegnare a giocare a pallacanestro fin dalle giovanili. Farlo non è facile come dirlo, nemmeno quando hai tutto a disposizione per fare il tuo mestiere al meglio, troppe le incognite lungo la strada. Ma la parola «programmazione», in tutti gli sport, resta un caposaldo da cui non si può prescindere. La prima Coppa Italia il Famila l’ha vinta nel 1996: a marzo di quell’anno nasceva una bambina che, domenica, ha sollevato il trofeo dopo essere stata tra le assolute protagoniste delle «due giorni» veneziana di Coppa. Cecilia Zandalasini, dopo una stagione di rodaggio, è a tutti gli effetti il presente e il futuro in salsa scledense (ma anche in chiave azzurra) insieme a Marzia Tagliamento. Due talenti formidabili che, e non è affatto un caso, dividono minuti e campo con due leggende della palla a spicchi nazionale: Laura Macchi e Raffaella Masciadri. E, guarda, caso, il testimone — in un futuro più o meno vicino, difficile dirlo — passerà da una all’altra all’interno dello stesso club, evitando scossoni e assestamenti che potrebbero creare qualche problema. A «Chicca» Macchi, classe 1979, in queste finali è bastato accendere per pochi minuti la luce della sua classe immensa e poi lasciare l’interruttore a Cecilia, la sua «erede». Si scrive programmazione e si legge vittoria.