Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LEGITTIMA (CONDIVISA) DIFESA
La questione della legittima difesa è divisiva, e mette in campo modi profondamente diversi di concepire la vita sociale. Tanto è vero che – anche solo limitandoci alle democrazie liberali – troviamo posizioni agli antipodi. Da un lato quella statunitense, per la quale il diritto a possedere un’arma e a farsi giustizia da sé è profondamente radicato nella cultura condivisa (dalla sacralizzazione dell’arma insita nel motto «la Bibbia e il fucile» all’immaginario hollywoodiano – con la conseguenza che gli Stati Uniti sono il paese occidentale che vanta il non invidiabile record del maggior numero di morti per arma da fuoco); dall’altro quella, opposta, della democrazia inglese (quella che il liberalismo l’ha inventato e praticato più conseguentemente, e l’ha insegnato a tutto l’occidente), contrarissima a questa pratica e restia persino ad armare i poliziotti, gli amati bobbies di quartiere (solo il 4,4% dei poliziotti inglesi è armato). Questa divisione si sta riproponendo nel dibattito attuale sulla riforma della legge sulla legittima difesa: in maniera più sentita nelle regioni del nord, in particolare in Veneto e Lombardia. Perché qui c’è più lavoro e maggiore concentrazione di ricchezza, significativa è la presenza di una nuova delinquenza alla ricerca di scorciatoie per procurarsela, maggiore il senso di insicurezza percepito (poco importa se fondato o meno sui numeri: «se una cosa è percepita come reale, essa sarà reale nelle sue conseguenze», insegna l’abc della sociologia)
Eprofondo il senso di impotenza e di ingiustizia sentito, anche a seguito di eventi che hanno portato a tentativi di rapina finiti tragicamente (con la morte del rapinato o del rapinatore), e anche a qualche clamoroso caso giudiziario, con esorbitanti richieste di risarcimento a carico delle vittime delle rapine, per esempio. Da questo punto di vista il progetto di riforma della legittima difesa (già riformato nel 2006 con l’appoggio della Lega) appena approvato alla camera, nasce male. Non c’è dubbio che in alcune zone del paese vi sia un malessere profondo intorno alla questione, legittimamente cavalcato da alcune forze politiche. D’altro canto, nelle linee guida di una legge su questi temi, è bene evitare automatismi pericolosi (come quello secondo cui qualunque reazione, anche palesemente sproporzionata, sarebbe legittima), e consentire invece la possibilità di un’interpretazione giurisdizionale: anche se pare ragionevole invertire l’onere della prova (ovvero, spetti al giudice dimostrare che c’è stato un eccesso di legittima difesa, e non al cittadino dimostrare che non c’è stato). Ma vanno anche sanate alcune palesi incongruenze che rischiano di far passare chi reagisce a un torto (tale ovviamente è un tentativo di rapina o di aggressione) dalla parte del torto – senza per questo banalizzare la morte di una persona, fosse anche un malvivente. La civiltà giuridica di cui spesso ci vantiamo nasce su questi presupposti. Per questo è opportuno un supplemento di riflessione. Proprio per queste ragioni non è ammissibile un comportamento delle forze politiche improntato alla logica del tifo calcistico: se la questione è divisiva, perché basata su fondamenti filosofici e concezioni persino antropologiche diverse, non può che essere fondata, sul piano della produzione legislativa, su un comporta-mento volto alla ricerca di un ragionevole compromesso, a partire da posizioni di per sé inconciliabili. Il che presuppone il coinvolgimento delle forze politiche nella sua ricerca. Anche perché, nel vissuto delle persone, le posizioni maturate su questa tema debordano largamente dalla divisione tra destra e sinistra, e sono interne alle stesse forze politiche. È per questo che non si può ammettere che le forze che maggiormente si impegnano sul tema (la Lega e il centro-destra) si chiamino fuori dal voto finale. Se vogliono una riforma, si impegnino a promuoverla, anche accettando di non ottenere tutto quello che chiedono. Altri-menti le forze di governo farebbero bene a non pro-muovere nessuna riforma, in modo da mettere quelle stesse forze di fronte alle loro responsabilità.