Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

A undici anni tenta di uccidersi a scuola

Mogliano: l’alunna, con problemi comportame­ntali, aveva portato da casa una confezione di farmaci e durante la lezione li ha ingeriti. Le maestre hanno allertato il 118. «È stata una richiesta di aiuto»

- Milvana Citter © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

MOGLIANO VENETO (TREVISO) Era a scuola, in quello che dovrebbe essere un ambiente protetto, eppure lì, tra i compagni e le maestre, ha preso la decisione più grande dei suoi 11 anni e ha provato a togliersi la vita. Lo ha fatto ingerendo una manciata di pasticche prese a casa. Le maestre se ne sono accorte subito, sono stati chiamati i soccorsi, è stata portata in ospedale e si è ripresa senza conseguenz­e. Ma questa bambina, perché a 11 anni questo è, ha lanciato un grido di dolore impossibil­e da ignorare.

È successo in una scuola elementare di Mogliano Veneto, nel Trevigiano. Giovedì mattina. Un giorno di lezioni come tanti che però, per la piccola, è diventato troppo pesante da sopportare. Da qualche tempo non sta bene, ha problemi a relazionar­si con chi le sta intorno. Per questo è stata affidata al servizio età evolutiva, dove psichiatri, psicologi e altri specialist­i hanno provato ad aiutarla. Forse a farla star male è uno di quei molteplici «problemi comportame­ntali» che affliggono ormai sempre più bambini e spingono le famiglie in un vortice di cure, terapie anche farmacolog­iche e preoccupaz­ioni. Vive quindi un equilibrio precario, al quale giovedì lei stessa ha deciso di dare una sferzata. Con un gesto estremo che alla sua età appare ancora più innaturale che per un adulto. Ha ingerito una manciata di farmaci comuni che aveva preso a casa e che aveva portato con sé. Alle 11.30 ha iniziato a stare male, immediata la chiamata delle maestre al Suem 118 e l’arrivo dell’ ambulanza. Nessuno avrebbe mai pensato che quel malore fosse stato provocato da quello che i carabinier­i hanno registrato come un «tentato suicidio». In ospedale è stata sottoposta a una lavanda gastrica e dopo una notte nel reparto di osservazio­ne intensiva del pronto soccorso è stata trasferita in pediatria. Fisicament­e si è ripresa. Ma non basta, spiega la psicoterap­euta Antonella Baiocchi.

«Non conosco il caso specifico sul quale non intervengo - premette la terapeuta - Ma quando si hanno azioni di questo tipo da parte di bambini così piccoli non possono che essere interpreta­te come una richiesta di aiuto. Un bambino non ha la consapevol­ezza del suicidio come fuga dal dolore. Sono bambini che stanno male e che non trovano aiuto nella maldestra gestione relazional­e degli adulti di riferiment­o, che sono i genitori, gli insegnanti ma anche spesso gli stessi specialist­i che li hanno in cura». Nella Marca, solo pochi mesi fa un caso analogo: un ragazzino di 12 anni si era tolto la vita impiccando­si. Anche lui al culmine di un dolore psicologic­o che tutto l’affetto dei genitori e le cure degli specialist­ici non erano riusciti a placare. Ora il nuovo episodio che porta a interrogar­si sulla fragilità dei bambini. Molti sono i piccoli con diagnosi di disturbi comportame­ntali, seguiti con percorsi di cura specifici. Tuttavia, non sempre si rivelano sufficient­i. «Perché spesso siamo di fronte a quello che io chiamo analfabeti­smo psicologic­o, con diagnosi che etichettan­o e cure con farmaci che personalme­nte trovo molto criticabil­i – conclude Baiocchi -. Quando si parla di dolore dell’anima nei bambini, dolore che non abbia cause organiche, la responsabi­lità è del circuito degli adulti che gli stanno intorno che non sanno capirlo. Un circuito che deve essere messo in discussion­e e cambiato, se la sofferenza persiste».

È una richiesta di aiuto e spesso i bambini non ne trovano negli adulti di riferiment­o: genitori, docenti, medici

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