Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
A Cappellotto la «laurea» del lavoro E l’azienda studia il salto all’estero
GAIARINE (TREVISO) «La soddisfazione è enorme, dopo decenni di lavoro. Ho iniziato a menar la forgia a mano a 9 anni: oggi non si più nemmeno cosa sia. Eppure a 77 anni è ancora la fabbrica che mi fa viver bene». Chi pensa al titolo di cavaliere del lavoro come a un riconoscimento vuoto e un tantino inutile, farebbe in fretta a ricredersi, trovandosi a guardare negli occhi Luigi Cappellotto, che lo riceverà il 2 giugno. Per lui che a scuola non è potuto andare oltre la quinta elementare («far le medie a Conegliano alla fine degli anni Cinquanta era semplicemente impensabile»), si capisce che è una sorta di laurea sul campo. Presa con quel che sa far meglio: quegli enormi camioncisterna intorno a cui da quarant’anni ha costruito con i fratelli la fortuna dell’omonima azienda a Gaiarine, nel Trevigiano, e che tutto il mondo, dalla Finlandia all’Australia, si disputa, a costo di aspettarli per un anno.
Termine riduttivo, camion-cisterna, per definire allestimenti che dall’aspirazione di fanghi e liquidi sono giunti fino ai combinati per le scorie esplosive e agli escavatori pneumatici. Soluzioni che valgono tra i 50 mila e i 600 mila euro, con tecnologie e personalizzazioni uniche e una passione per il prodotto maniacale, che fanno dei mezzi Cappellotto le Ferrari del settore, prodotte in non più di 300 pezzi l’anno. Dietro, ci si può riconoscere molto del modello industriale veneto. Che qui però funziona ancora, quando altrove è tramontato da tempo. La partenza è tipica: il padre Pietro che avvia nel 1953 un’officina da fabbro, tra cancelli, ringhiere e i primi carri agricoli. «Ho iniziato da fabbro nel 1957, dopo le elementari - ricorda Luigi -. Negli anni Settanta facevamo i più bei rimorchi agricoli. Guadagni stretti, ma c’era da fare: non abbiamo mai dovuto pensare al giorno dopo».
A fine anni Settanta il salto dalle botti agricole alle autocisterne. «Lo ricordo ancora - dice Luigi - era domenica (allora si lavorava pure di festa), un cliente lombardo di Lainate, che mi dice: ‘Luigi mi devi fare il camion spurgo’». La produzione già a fine anni Ottanta manda in pensione la parte agricola. In azienda Luigi è con i fratelli Evaristo (mancato da qualche anno) e Mario, che di Gaiarine è pure sindaco. Discussioni accese, ma l’azienda cresce, anche nella rivalità a con la vicina friulana Moro. Fino ad oggi: 50 milioni di ricavi, per il 70% all’estero, cresciuti del 45% tra 2013 e 2017, 220 dipendenti tra i siti di Fontanafredda, che realizza le cisterne, e Gaiarine, dove si fanno gli allestimenti.
Qui la crisi non è mai entrata: davanti c’è già un anno di portafoglio ordini. Il problema è l’opposto: come abbattere i tempi di consegna, espandere la produzione con i saldatori introvabili. Tanto che alla Cappellotto hanno sperimentato il «riciclo» delle competenze. Con i 20 addetti dell’ex Girelli Bruni di Verona, che faceva stazioni di servizio. Fallita e recuperata in affitto, dopo aver formato i dipendenti: lavorano da un anno per Cappellotto. Prospettiva: l’acquisizione. «Senza, non so come avremmo fatto - dice l’amministratore delegato, Edoardo Marcon - Lì faremo i veicoli da città, liberando capacità produttiva». Le macchine saliranno da 300 a 400 l’anno, e i ricavi del 20% in due anni.
Il vero tema per il futuro, però, mentre la seconda generazione dei tre rami familiari è già in azienda, è come fare il salto all’estero, mettendo a frutto il know how. I veicoli Cappellotto se li contendono dalla Francia alla Germania, all’Africa. Ma dalla Scandinavia alla Russia, dall’Algeria all’Iran, e nei tre mercati giudicati strategici - Usa, Cina e Indonesia - l’espansione può passare solo da partnership per produrre all’estero. «Pensiamo a un bel cavaliere bianco che ci aiuti nella proiezione internazionale, più che ad un partner finanziario», dice Marcon. Le valutazioni sono approfondite. Luigi Cappellotto sorveglierà anche la nuova fase. E spende intanto una riflessione generazionale: «I giovani? Partire oggi come feci io è impensabile. Ma di ragazzi in gamba ce n’è tanti, ad iniziare da qui. Peccato solo che fare gli imprenditori in Italia si divenuto impossibile».